Decalogo anti attacco di panico (parte prima)

Foto gentilmente donata da Patrizia Tagliamonte
Di metodi caserecci per contrastare gli attacchi di panico, o meglio per stroncargli la carriera sul nascere, ne conosco parecchi.
Alcuni sono quantomeno discutibili, altri vantano una discreta ragione d'essere.
Inutile dire che un Tavor Expidet offre maggiori garanzie di successo, ma tende anche a inebetire, fare straparlare e, almeno nel mio caso, a provocare fastidiosi effetti collaterali tipo un subitaneo crollo in fase rem che può essere imbarazzante ma anche pericoloso (dipende dalla situazione).

Vediamo quelli che ho sperimentato con sprezzo del pericolo e amore di conoscenza:
  1. Elastico attorno al polso - il principio si basa sull'assioma per cui il dolore fisico distrae la mente; e  la mente distratta non apre la porta al panico (che comunque insiste a suonare il campanello). Da ciò si evince che l'elastico deve essere bello spesso e per tirarlo fino ad ottenere l'effetto desiderato, ossia un dolore in grado di ottundere la mente, è necessario cercare un arciere nei paraggi; di solito non ce n'è, ma mai porre limiti alla provvidenza. Come avrete capito, la mia esperienza in tal senso non è stata entusiasmante, ma è anche vero che non mi piace farmi del male da sola, non conosco arcieri e soffro di fragilità capillare (se, come nel mio caso, il panico compare di frequente, ci si riduce le braccia a due salami violacei).
  2. Respirare in un sacchetto - quando l'ansia inizia a farvi respirare come un husky  a Roma ad agosto, state entrando (o ci siete già finiti, con anche le scarpe) in iperventilazione. L'iperventilazione non è buona, fa andare nel pallone, spara le sinapsi in giro tipo pallina da flipper, si sta male sul serio. C'è bisogno di anidride carbonica per contrastare l'arrivo in massa di ossigeno nel sangue che, contro ogni logica (o almeno io fatico a capire il meccanismo) non giova al cervello. Respirare in un sacchetto di carta diminuisce l'alcalosi... parolone! Accontentiamoci di sapere che abbassare quella roba lì è ciò che dobbiamo ottenere. Vi confido che nei momenti di massima disperazione ho avuto la tentazione di infilare la testa in una busta di plastica, tanto per risolvere definitivamente il problema... non fatelo a casa; nemmeno fuori. Non fatelo e basta.
  3. Visualizzazione del posto sicuro - questa non è  facile ma funziona. Me l'ha insegnata quella santa donna della mia psicoterapeuta, di cui vi parlerò in seguito. Funziona ma non è facile. Serve allenamento e una buona predisposizione all'immaginazione e alla dissociazione (che in psichiatria non è una cosa bella, ma noi la adottiamo con moderazione e criterio; siamo mica degli incoscienti... e insomma, un po di fiducia!). Come funziona? Dobbiamo individuare mentalmente un posto che ci dia sicurezza, relax, ecc. Può essere una spiaggia deserta come il salotto di casa nostra. A questo punto alleniamoci, anche nei momenti di quiete, a visualizzare il luogo prescelto, con particolari credibili, odori e rumori, magari persino con oggetti che ci donano un senso di relax (io, nella mia isola deserta, ci metto una statua del Buddha; il suo sorriso sereno ha un effetto molto rassicurante. Ci infilo anche, sullo sfondo, un centro di primo soccorso: va bene la solitudine, ma anche l'ipocondria vuole la sua parte). Più ci si allena e più diventa automatico richiamare quell'immagine in fase stress. Così capita che si è in fila alla posta, si sente salire il panico e... tac! Isola deserta con Buddha e il dottor House. 
Continuo domani perché ora devo risolvere una questione di meccanica applicata alla mia vecchia Cinquecento.
Nel frattempo, se avete metodi da suggerire (che avete provato; qua non s'improvvisa) scrivetemi un appunto: il decalogo può essere flessibile, tanto non ci vede nessuno.

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