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Visualizzazione dei post da novembre, 2019

10 cose da non dire al depresso

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Tempo fa ho scritto un pezzo su ciò che risulta urtante sentirsi dire durante, ma anche prima e dopo, un attacco di panico (se lo avete perso e  vi interessa, potete leggerlo cliccando su  Da non dire in caso di panico ).  Oggi vorrei affrontare, con analoga dedizione e quella puntina di acidità donatami dall'esperienza, l'arduo tema della depressione vista da chi ne sta fuori; è un lavoro duro, lo so, ma mi sacrifico volentieri per voi (ed è anche domenica, tenetene conto). E' giusto inserire un breve preambolo: in questa sede e in questo momento, per depressione intendo quello stato che ci tiene a letto con le coperte sopra la testa, per farci alzare solo per istanze improrogabili (andare in bagno, dove però evitiamo di lavarci perché è una fatica inaffrontabile), che ci toglie la fame o ci fa mangiare senza posa per riempire un vuoto incolmabile e, talvolta, sembra rendere stancante anche respirare... insomma, ci siamo capiti; parlo di quella che gli specialisti

Adulare o essere se stessi?

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Esistono uomini meno interessanti e più repellenti di quelli che passano l'esistenza a lisciare il pelo a qualcuno un cicinin più importante di loro? No, è un fatto. Qui nei social se ne trovano all'ingrosso. Gli haters, in confronto, sono simpatici; il loro stato nevrotico-dissociativo fa persino tenerezza; poi li si picchierebbe con una mazza ferrata, ma con cuore colmo d'indulgenza. Coloro che per poter ottenere qualcosina, fosse anche un minimo di considerazione (o persino un like), adulano gente oggettivamente odiosa e supponente o che semplicemente non stimano: Dio ci scampi. Poi, e qui si cade nel grottesco, in separata sede, ne delineano una genealogia un filo irrispettosa... piuttosto che frequentare un uomo così, preferirei chiudermi in un convento di clarisse (che non so chi sono, ma dopo m'informo). Non so cosa sperino di ottenere, o cosa effettivamente ottengano, ma di certo sono piccinini e privi di ossatura (dei vermini, ecco).

La storia di Lutvija e del chiodo arroventato

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"Noi eravamo sempre e solo di passaggio - estranei, odiosi, insultati - per niente turbati, e nemmeno tanto tristi, ma a volte con addosso una stanchezza dolorosa. Come se il cammino fosse davvero la nostra strada." Oggi vi scriverò di un romanzo, perché mi gira così. Non parla di panico, ansia o altri problemucci che mi diletto a rifuggire, ove e quando mi sia possibile. Preambolo del tutto irrilevante: ho un amico in Florida (Ema) con cui intrattengo conversazioni notturne. Notturne per me, lì è pomeriggio e qui sono le due di notte; lì fa caldo e qui mi presento davanti allo schermo con la vestaglia di flanella della nonna; lui è abbronzato e io sono scura solo sotto agli occhi... potrei continuare per pagine e pagine, ma vi vedo già annoiati. Il mio amico, oltre ad essere bello come il sole della Florida, è un'autorità in campo di libri (che scrive anche, con un genio che invidio fino alla gastrite). Detto ciò, quando finisco le scorte di volumi che, con

L'inganno: la mente regge, il corpo crolla

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chiassosi e non fumatori Un monaco, un giorno, mi disse: smetti di guardare alla mente e al corpo come a due entità separate. L'ho sentito ma non l'ho ascoltato. Lo ribadisco senza timore d'essere smentita: quello che sta per finire, ma ancora trattengo il fiato, è stato l'anno peggiore della mia vita. Dell'ampia e variegata gamma delle cose orribili che potevano accadermi, me ne sono concessa una fetta generosa; roba da fare indigestione. Tuttavia è stato anche l'anno con meno ansia, panico, depressione e, soprattutto, agorafobia. Più volte mi sono interrogata, e ho tediato voi, sulla questione. Mi sono data molte risposte e, temo, nessuna sensata. Recentemente ho anche accettato un lavoro che mi ha portata ad uscire, entrare in un ampio ed elegante hotel ospitante quasi 700 medici. Vi ho già detto che ho la fobia dei medici? Mi sa di sì. I partecipanti dei tre giorni di congresso, perché di congresso si trattava, non indossavano il camice,