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L'ipocrisia dell'assenza di giudizio.

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  “Io non giudico mai nessuno” ... quante volte si sente! Quanta ipocrisia palesa. Nel momento in cui lo dici, mi stai giudicando… presumibilmente come una persona giudicante, quindi brutta. Ed è vero! Io giudico, giudico eccome. Giudico al primo sguardo, giudico dalla postura e dal tono della voce, dall’odore, eccetera. Se non lo facessi non potrei provare un sentimento, di qualsiasi tipo, verso la persona, l'evento, l'oggetto che ho davanti. Per qualche motivo, all’atto del giudicare si dà quasi sempre un’accezione negativa, eppure l’etimologia parla chiaro: “ dal latino judĭcare, derivazione di judex = giudice . Judex deriva dall'unione di ius + decs (dicere) cioè colui che dice, che si pronuncia sul diritto. In senso più ampio, giudicare significa valutare, stimare, esprimere un'opinione ”. E il giudice è imparziale (o almeno dovrebbe esserlo), e tutti noi partiamo da una posizione imparziale (o almeno dovremmo). Veniamo giudicati dalla nascita (sano, bell

Sul rancore, l'amore, l'assenza, la consapevolezza del tempo.

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“Il tempo ripara tutto” : me lo diceva spesso mia nonna; con lei il tempo non è stato clemente e io non ho mai creduto a questa, come a molte altre, perle di saggezza. Ho sempre elaborato teorie alternative, snaturato il significato di proverbi e di altri consigli derivanti dall’atavica esperienza popolare. Così, nel tempo, chi mi ha dato motivo d’astio, l’astio se l’è tenuto. “Dimentico ma non perdono”: ecco un altro stravolgimento, una semplice anastrofe che suona quasi come un lapsus, mentre delinea un preciso bug di programma mentale. Il rancore è un sentimento esecrabile, ma come accade con tutti i sentimenti è assai difficile, se non impossibile, ragionarci e ridurlo a più miti consigli. Sono una persona rancorosa che, peraltro sfoga apertamente il proprio rancore, perché tenerlo dentro produce ulcere gastroduodenali, ipertensione e, soprattutto, ansia e insonnia. Sputandolo fuori perde intensità e poi accade sempre qualcosa che lo fiacca, lasciandolo lì a languire: si scorg

Il decalogo del Sonnologo.

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  D a 7 a 5, poi a scalare fino a due o tre ore al giorno di sonno; mi è capitato di trascorrere 48 ore consecutive di veglia, posto che lo stato catatonico possa essere definito “veglia”. Tutto questo per un paio d’anni.   Ho provato l’autoipnosi, lunghe passeggiate notturne, rimedi erboristici dal sapore gradevole quanto masticare guano di piccione, suoni della natura provenienti dal comodino, visione notturna di partite di golf e altre strategie più o meno (o per nulla) approvate dal mondo medico e dal buonsenso comune.    Niente! Certo, quando mi era concesso dormire di giorno andava a meraviglia, ma la quotidianità è satura di regole comportamentali aggirabili esclusivamente da chi se lo può permettere, e io non posso. Sull’insonnia ho già scritto varie volte ( QUI potete leggere un pezzo in cui, circa un anno fa, promettevo di ricominciare a dormire), ad un certo punto mi ero persuasa ad accettare questo problemuccio, fino a quando l’organismo ha iniziato a scatenare una serie d

Memoria anni '80.

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  Mentre guido, un po' assonnata, chiacchiero con il volante.  Intanto sommo le cifre di qualche targa, così, per tenere la mente in allenamento e appagare quel briciolo di mania ossessivo-compulsiva che a tratti si fa viva.  Ferma a un ingorgo di cui non comprendo la genesi, noto un gruppo di ragazzini con braghe della tuta e giacca imbottita d’ordinanza: abiti neri, visi pallidi, capelli tagliati in stile camelide, sguardi fissi sui telefoni; una dozzina d’occhi che probabilmente non si accorgerebbero nemmeno di un’improvvisa eclissi totale di sole.  Mi chiedo se esistono ancora i Monclar. Uno di loro sputa a terra, tanto per rompere la noia, un altro ride da solo… beh, io parlo col volante, non c’è tutta questa differenza.  Però, penso che sia un peccato che loro si siano persi gli anni ’80 ed è una fortuna che io mi stia perdendo il piacere di preferire uno schermo alla condivisione di battute sceme con gli amici. Così mi ritrovo a fare una cosa che di solito evito, perlopi

Blasfema?

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       Ho cercato d’immaginare cosa accadrebbe se Dio se decidesse di palesarsi a noi umili umani, suoi figli (da quel che si dice). Per iniziare gli toccherebbe palesarsi durante una conferenza stampa in mondovisione a reti unificate, pure su Netflix, Sky e Prime (altrimenti chi lo vede?) e mettere a secco un paio di mari o almeno un oceano per non finire sotto TSO. Da ogni parte del pianeta si solleverebbe un alleluia talmente potente da interferire con i ripetitori a banda larga, compresi quelli che supportano il 5g; si creerebbe un po’ di panico, e vero, ma ci vorremmo tutti bene persino fuori dai social. Alla seconda settimana, Dio (“vestito di lino, taglio minimalista ma adatto anche a un apericena”, così riporterebbe l’edizione speciale di Vogue) occuperebbe le copertine di tutte le riviste, diventando “Person of the Year” del Time. In Italia finirebbe in un programma tv, dove un conduttore dall’aria inebetita (per lo stupore, mica è sempre così) riuscirebbe a fargli ammettere c

Riassunto 2023.

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    Anno particolare il 2023.  Difficile, capriccioso, a tratti insolente. Ad agosto ci sono stati due pleniluni, che è cosa rara. Sempre ad agosto ho compiuto 58 anni, che è un fatto che nella vita capita una volta sola. Per i cinesi sta finendo l’anno del Coniglio (quieto e meditabondo) per entrare, dal 20 febbraio (o giù di lì), in quello del Drago, simbolo di potenza e fortuna (auguri ai cinesi, soprattutto agli abitanti di Hong Kong). Il mondo si è concesso una nuova guerra, che tanto guerra non è perché di eserciti ce n’è uno solo ma, c’è da ammetterlo, sta spargendo morte e distruzione come se fosse una dozzina. La mia vecchia auto se n’è andata col botto, letteralmente; ne è arrivata un’altra: occhi inflessibili, mascella volitiva e colore risoluto, originaria dal pezzetto di mondo che tollero meno (perché sono intollerante, è un fatto); tuttavia, ci stiamo studiando e nel frattempo intratteniamo un rapporto distaccato ma rispettoso, magari un giorno subentrerà l’affe

Vorrei.

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  Giorni con una canzone in testa. Chissà come, da dove, perché è arrivata. Forse l’ho sognata; mi capita, i sogni hanno tanta musica e negli ultimi tempi pare che l’insonnia abbia lasciato campo libero a una sorta di ipersonnia di cui non mi lagno. Però, capita d’essere su un bus… luogo ansiogeno (preferisco la metro, perché sottoterra pare tutto più quieto), lo affronto deviando il pensiero su qualche salvifico codice alfanumerico a caso, sommando e sottraendo, cercando anagrammi in parole che non ne hanno. Arriva il controllore, mi si piazza davanti e pare stanco, impaziente di scendere almeno quanto me. Cerco nelle tasche, chissà perché ne ho sempre così tante. Se sale l’ansia non si sa quale destino sia stato riservato a qualsiasi cosa, persino ai ricordi. Sicuro che il biglietto l’ho infilato nello zaino, e allora sbucherà fuori al prossimo scavo. Ci si spintona alla prima frenata, si rigirano libri, taccuini, penne, accendini e due o tre rossetti… Lui, il controllore,