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Visualizzazione dei post da marzo, 2022

Ho rubato qualcosa di voi (parte seconda): Gabry.

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  Chi ha letto la prima parte di questo articolo, sa di cosa parlo; chi non l’ha fatto può trovarlo QUI … e così andiamo avanti belli spediti. Non so perché mi sono tuffata nelle acque melmose e burrascose dell’infanzia. Pensavo fosse tutto più semplice, forse meno doloroso dell’immaginare la vita di un adulto. Ciò che non avevo considerato è che quando si scrive tocca entrare nei personaggi, pensare come loro piuttosto che farli pensare come te; e per quanto riconosca in me tratti infantili, non sono più una bambina da tanto, troppo, tempo. Casualmente, nei vicoli dei social, ho incontrato Francesca, una donna con cui mi sono subito sentita in sintonia ed ho scoperto che ha un figlio dell’esatta età del “mio” bambino (o almeno, aveva 11 anni quando ho iniziato a scrivere la storia). Le ho chiesto se lui avrebbe accettato di parlare un po’ con me in videochat e lei ha organizzato l’incontro. Ricordavo i tempi in cui qui veniva spesso un “piccoletto”, i pomeriggi trascorsi insieme

Elogio del tè

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  Il tè non si beve come il caffè. Seduta al tavolino di un bar, attendo che la bustina si fidi dell'acqua per lasciarsi andare. Annuso, a tratti guardo dentro la teiera per stimare il tempo d'attesa. Poi ne verso un po' nella tazza, che accarezzò e tengo tra le mani per scaldarle e scaldarmi. Osservo il fumo che si alza dalla tazza e continuo ad annusare. Intanto, tra i fruitori del caffè si consumano piccole battaglie dialettiche e la tazzina è vuota in meno di un minuto. Il caffè è parlato, il te è silenzioso. Non lo bevo, lo sorseggio. Troppo caldo, attendo e ascolto altre conversazioni, a volte annoto qualche frase (non si sa mai, metto da parte per il futuro). Quando la temperatura è quella giusta ascolto solo la voce dentro. Magari giudico la qualità: difficile trovare un buon tè in un bar, ma non ha molta importanza. Svuoto la teiera e nel frattempo sono passati in tanti, ognuno con un suo pensiero da bancone. Il tè non lo si può bere al bancone. Qualcuno gusta lo z

Sono depresso! Un outing difficile.

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In Italia, prima della pandemia e di tutti gli altri casini globali, almeno il 7% della popolazione aveva ricevuto una diagnosi di depressione. Con l’arrivo del Covid, la percentuale è quintuplicata.   Mah, mi sa di depressione Ci sono un sacco di cose da raccontare, veramente tante. Vi confesso che a volte decido di dimenticarmi di questo blog, e in quei momenti accade qualcosa che mi spinge a continuare. Perché qui, magari, ridiamo e scherziamo, ma l’argomento che in teoria dovrei trattare (il condizionale è riferito alle numerose capatine fuori tema) sembra allargarsi ogni giorno… somiglia un po’ a una pandemia.   Stiamo vivendo uno dei periodi storici più inquietanti, pare di stare nell’edizione riveduta e corretta delle sette piaghe d’Egitto. E quando la paura è pressoché la tua casa, se da fuori arriva qualcuno ad arredarla con mobili e ninnoli altamente sgraditi, c’è poco da fare: si sta male. Ansia e depressione diventano virali , e chi prima non sapeva cosa fosse un attacco di

Attacco di panico in luogo di supermercato

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  Ed eccolo l’attacco di panico, il primo dell’anno. È pronto per la sua letio migistralis, ha da insegnarmi molte cose sulla vita e su di me. “Tesoro, dov’eri stato? Ti aspettavo”, gli dico con un sorriso che mi costa fatica perché la bocca pare paralizzata da quel terrore che ferma tutto per qualche minuto o per molti minuti, ancora non so. Lui vacilla, lo sento. Ma sappiamo che è più forte, che per quanto io abbia imparato a combatterlo non riesco ancora a sconfiggerlo. “Io devo fare la spesa. Con te o senza di te io farò la spesa. Se solo mi permettessi di muovere le gambe non dovremmo stazionare nel reparto ortofrutticolo a fissare una marea inespressiva di vegetali”. Manda scariche di adrenalina. Che sia alfabeto morse? C’è quella canzone in sottofondo e cerco di non ascoltarla, mi tapperei le orecchie se solo riuscissi a muovermi. Mi ha concesso quasi tre mesi di quiete, perché proprio ora? Voglio solo comprare le carote, gli asparagi surgelati e una pizza da mettere i

Cucinare rilassa?

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       Credo sia normale volersi rilassare un po', no? Così, ceno guardando la tv ed evitando accuratamente i TG (quelli solo al mattino, appena sveglia, così da non illudermi possa essere una buona giornata). Saltello da un canale all'altro e c'è sempre qualcuno che cucina, il che non mette angoscia ma rattrista se stai mangiando verdure al vapore. Per sollevare lo spirito penso che in serata potrò rivedermi due episodi di Sherlock... e ci trovo la serie "Chernobyl", che sarà pure interessante ma slatentizza la depressione maggiore. E allora provo a cucinare anche io qualcosa per il giorno dopo, con in sottofondo Steven Seagal che spacca qualcosa. In frigo ci sono ancora tre uova e gli spinaci (al vapore). Frittatina! Che ci vuole? In TV la fanno in un amen, mentre chiacchierano e tengono d'occhio un soufflé (ecco, quello, se si è inette ai fornelli è meglio lasciarlo perdere, perché abbassa l'autostima). Sbatto tutto e mi accorgo che ho energia insuffici

Oggi vi parlo di Douglas Adams (così è)

       Devo impegnare un po' di tempo prima d’iniziare a lavorare; ho già fatto doccia e colazione, quindi temo (per voi) che ora vi parlerò di Douglas Adams, uno dei miei miti letterari e, se ben ricordo (chi ben ricorda è a metà dell'opera... di qualcun altro), l'autore che ho riletto con maggior frequenza. ​ Nato in Inghilterra, morto in America; nel mezzo ha viaggiato in mondi immaginari. Poi si è immerso nel nostro pianeta per "l'ultima occasione", quella che noi stiamo perdendo (o abbiamo già perso). Dicono sia l'inventore della fantascienza umoristica , anche se rammento di aver letto alcuni racconti di Asimov molto divertenti (ma Asimov è ASIMOV, tutto maiuscolo, caratteri alti tre metri, grassetto, evidenziato con una tonalità di verde alieno). Per la miseria! Sto già perdendo il filo. Dunque, Adams è universalmente noto per la “ Guida galattica per autostoppisti ” che, per motivi a me incomprensibili, pare sia adorato dagli uomini e sott

Ho rubato un po’ di voi (parte 1)

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       Questa è l’era del digitale, sono gli anni del distanziamento che per me, e alcuni di voi, fanno parte di un’abitudine consolidata molto tempo prima dell’avvento delle mascherine. E questa è una premessa o una giustificazione, devo rifletterci. Da circa un mese ho terminato di scrivere il nono o decimo romanzo; al momento non riesco a ricordare con precisione, perché stamattina mi sono svegliata alle 5 con un’ansia che mi sfasa presente e passato (comunque, tre li hanno pubblicati e se questo seguirà lo stesso destino, saranno quattro… gli altri sono spiaggiati in vecchi computer). Ciò che so per certo è che stavolta non è stata come le altre: è una storia a tratti divertente, ma non mi sono divertita a scriverla (di solito ridacchio mentre scrivo, qui ero un po’ incazzata); ho impiegato un’eternità a finirla, almeno per i miei parametri (era persino lievitato a 600 pagine, poi drasticamente ridotte) perché non riuscivo a smettere; l’idea è stata partorita nel periodo peggio