Esterno notte


Non sono una creatura estiva. Preferisco il freddo e le sue scenografie.
Ma amo una cosa dell'estate: le finestre aperte, le tapparelle alzate fino a tarda ora, perché ci sono poche cose che mi piaccia fare quanto spiare nelle case altrui. Onestamente non m'interessa vedere chi ci vive. E' il come a intrigarmi.
Di notte l'agorafobia offre momenti di quiete, perché non è lo spazio aperto ad attrarre l'inquietudine, è la gente, il vociare, la necessità di parlare a generare ansia. Il buio offre protezione, si presta all'indifferenza dei pochi che ti passano accanto. Per me che ero un animale sociale, questo è stato il cambiamento forse più scioccante, ma ci si abitua a tutto; la mente finisce per adattarsi e, nonostante il fenomeno abbia risvolti salvifici, quando ci si pensa sale una certa tristezza.

Anche di notte il mio quartiere non si presta all'incanto. Tuttavia incappo in pareti blu elettrico e in lampadari molto attraenti nelle loro forme bizzarre. In un pianoterra vedo dominare il rosso brillante e sento suonare un vecchio brano di Nancy Sinatra, “Theseboots are made for walking”. Mi viene voglia di ballare, lo faccio per circa mezzo minuto, poi passo oltre.

Mi avvio su una via lunga, ampia, illuminata solo nella parte centrale, che porta ad una piazza apprezzabile unicamente per i perenni lavori in corso che deviano il traffico in ingorghi rumorosi e pestilenziali. C'è un ristorante cinese aperto per l'eternità e un minimarket, con annessa macelleria araba, dove due tizi cantano o pregano. 
Ci sono quattro o cinque uomini ubriachi che parlano una lingua dura e due prostitute nere di cui una è bella come una venere. 

C'è il bancomat dove mi fermo per fare l'estratto conto, tanto per non indugiare troppo sulla serenità riacquistata. 

Su quella via c'è anche una fila di roulotte e camper, con bici e passeggini lasciati incustoditi, dove vivono degli zingari.
E lì vedo l'interno più affascinante. No, non è vero. Dell'interno si vede nulla, però, accanto a un finestrino c'è una candela accesa, bianca, sistemata su una bottiglia. Una semplice bottiglia di vetro trasparente. Fa una luce poco vivace, ma richiede un discreto sforzo di volontà per smettere di guardarla.
Mi siedo sul marciapiedi per godermi l’aria di Torino (la più inquinata d’Europa, dicono) e la candela (la più bella del mondo, dico io).
Avrei voglia di scattare una foto di quella candela, ma sarebbe molto scortese entrare in casa d'altri senza chiedere il permesso.
Mi sento serena.

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