Streptease della memoria.
Seduta al tavolo della cucina, con un thè verde al limone che dovrebbe aiutarmi a digerire un notturno e blando impulso suicidale perpetrato con alimenti spaccastomaco, ho letto un articolo inviatomi da un'amica. È una mattinata afosa, la via ha il tipico suono di un quartiere che non va in vacanza, finalmente il mal di schiena mi dà tregua, forse per non rubare la scena ai guai digestivi.
L'articolo racconta di un ragazzo, il figlio dell'amica di cui sopra, che dopo un percorso di studi assai impegnativo (roba da cervelloni), e lavori altrettanto ardui, ha deciso di svoltare. Non vi racconterò la sua storia, benché sia interessante e bella, perché è sua. Tuttavia, mi sento di condividere le riflessioni che ha prodotto in me.
La
lettura ha riportato in superfice un vecchissimo ricordo.
I
miei genitori avevano teorie educative che mi spingerei a definire non
convenzionali. In realtà, sospetto che non avessero idea di cosa fare, quindi
si limitarono a non introdurre regole e divieti… e di questo gli sono grata.
Una sera, era Capodanno, in tv trasmisero lo spettacolo del Crazy Horse, un anticonformista locale parigino. Era l’inizio degli anni Settanta e quello non era uno spettacolo per bambini. Ne rimasi estasiata.
In
particolare, mi colpì un’artista: Rosa Fumetto. Probabilmente, molti di voi non
hanno idea di chi sia e, temo, di non poter inserire una sua foto per noiosissime
questioni di copyright. Era bellissima e, da quanto vedo, lo è ancora.
Mi
alzai, la indicai, guardai mia madre e dissi “Da grande voglio diventare come
lei”.
“E’
una spogliarellista, si spoglia nuda davanti al pubblico”, mi spiegò mio padre. Pensai che fosse bellissimo, pur col mio carico di timidezza paralizzante. I genitori risero, ma quell’idea mi frullò per la testa a lungo.
Considerate che, fino ad allora, il mio modello femminile era Heidi, la bambina dei cartoni animati, virtuosa e amante delle caprette. Per quanto mi piacessero le capre, la trovavo noiosetta. Poi c’era Pippi Calzelunghe, lei mi intrigava già di più perché era folle e già avvertivo una discreta comunione d’intenti.
Attenzione,
sto scrivendo di un’epoca in cui l’animale domestico era lo stegosauro
(esagero, ma mica tanto); infatti, il secondo lavoro che occupò i miei sogni fu
quello della paleontologa.
Ma Rosa Fumetto! Era tutta un’altra cosa: la vedevo determinata, sicura, padrona del suo corpo e di tutta se stessa. Pur avendo svolto numerose professioni, non sono mai diventata una spogliarellista: troppo magra, all'epoca, e con un carico di sensualità pari a quello di un’orsa marsicana. Però, per la maggior parte della mia vita ho portato il suo stesso taglio di capelli (tutti dicevano che somigliavo un po’ a Valentina Crepax, ma non sapevano…).
Ammetto che tutt'ora, quando mi sento inadeguata, insicura, in-un sacco di cose, mi capita di pensare a lei. Un po' mi aiuta a uscire dal vortice dell'autoflagellazione mentale.
Il nocciolo della questione è un altro: fin dai primi anni di lavoro, mi sono accorta che la professione scelta – a mio parere meno dignitosa della carriera da spogliarellista; è una mia opinione personale, sia chiaro – non era nelle mie corde. Tuttavia, non sono mai riuscita a cambiare né ad andare a vivere in Gran Bretagna per poi ritirarmi in una città marittima, come sognavo. Mancanza di coraggio? Pigrizia?
Non
so.
Quello
che so è che la dose più cospicua d’ansia e di panico è sempre giunta dal
lavoro, dal sentirmi incastrata in un ambiente lontano dalle mie reali attitudini.
Certo, col tempo ho attuato qualche aggiustamento, ma non sono mai riuscita a
distaccarmi completamente da quel mondo che, peraltro, i miei genitori non digerivano
al pari del mio pasto notturno. A volte, penso di aver perpetrato una sorta di dispetto o ribellione, chissà.
Leggendo la storia del ragazzo con laurea importante che ora fa tutt’altro e lontano dall’Italia, ho provato stima infinita per lui e invidia per la sua libertà intellettuale.
Ora
io sono avanti con gli anni, cerco di coltivare le mie passioni nel tempo
libero (non mi esibisco in perizoma, va detto), e il mio sogno è quello di riuscire
ad arrivare alla pensione, vincere a una lotteria di cui non acquisterò il
biglietto, trasferirmi in un'altra città e vedere almeno uno scorcio di mare
dalla finestra.
Stamattina,
però, mi chiedo se col senno di poi avrei il coraggio di cambiare la strada che
ho scelto. Anche a questo non so dare una risposta.
Però,
se qualcuno di voi mi chiedesse un consiglio in merito, suggerirei di
fregarsene dell’eventuale tranquillità economica (questo mi è facile perché l’ho
sempre tenuta lontano), dell’eventuale prestigio, e di scegliere la libertà.
Al momento, il figlio della mia amica è davanti a un mare lontano. Gli auguro di goderselo fino a quando lo renderà sereno.
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