Instabilità generica declinata ai mezzi pubblici.

L'auto non parte e due cose mi fanno sentire sicura (così, così), ossia casa mia e l'auto; tutto il resto è tormento, panico e disperazione. Quindi il fatto della vettura che ha un guasto irreversibile, mi mette angoscia.
Sono in ritardo, l'appuntamento non è procrastinabile e comunque ho finito il credito del telefonino. Questo per dirvi che ieri ho passato dei brutti momenti tenendo saldamente tra le mani un volante inutile.
Torno a casa e chiamo un taxi... porca miseria ladrissima! E parecchio ladro anche il taxista. Oltretutto non mi piace che guidi qualcun altro, ho bisogno di avere il controllo su tutto; tuttavia non chiedo se posso passare io al posto guida, perché il signore mi pare gentile ma non troppo collaborativo.
Va da sé che se non posso permettermi una pompa della benzina nuova, prendere un taxi anche per il ritorno sia una questione da valutare a fondo.

Metropolitana e bus. Mi tocca, è inutile stare ad angosciarsi seduta sul gradino di un negozio.
Dopo aver passato una mezz'ora ad angosciarmi seduta sul gradino di un negozio, prendo coraggio (poco roba, viaggio leggera) e mi dirigo verso la metro.
Un tempo adoravo questo comodo e divertente mezzo di locomozione. Ma ora? 
Inizio a scendere i gradini, le gambe reggono poco e male. Ma appena mi trovo alla fermata scopro che sottoterra mi sento bene, almeno fino a quando la situazione è temporanea.
Il viaggio è breve e sono felice: un progresso insperato ti cambia la giornata. 
Scatto anche delle foto con il telefonino, che ormai serve solo a quello.

Il problema è il bus perché appena riemergo alla luce adocchio una fermata piena di gente, tanta luce, il sentore del panico.

Eccomi quindi a raccontarvi il dramma dei mezzi pubblici. Non quello generale (costo, sovraffollamento dell'area calpestabile e non, sporadicità dei passaggi), ma il mio personale.
Partiamo dall'inizio. Sono in prossimità non così prossima della fermata e il bus sta arrivando. Il cervello mi dice "corri", le gambe fanno passettini da gnomo zoppo. 


"Merda! ho disimparato a correre!" E' quanto evinco. Mi dico anche che da anni non ci provavo, quindi è possibile che non si tratti di un problema recente. Fuori da ogni logica, questa deduzione mi pare rassicurante. Comunque, l'autista mi attende. 
Salgo con un fiatone da corsa, tanto per darmi un tono, e ringrazio con un entusiasmo che suona esagerato, come se il tizio mi avesse donato un rene (di cui mi pare di aver bisogno, a giudicare dal dolorino proprio lì, in basso a sinistra, causato dalla non corsa).

Mi siedo e alla prima curva scivolo dal sedile. Decido che sono diventata troppo magra per poter aderire a una superficie liscia senza adeguato imbragaggio.
Mi alzo, provo a tenermi al mancorrente verticale e oscillo da destra a sinistra come una bandiera esposta a un uragano. Guardo le altre passeggere, stabili come rocce... ma, a mio parere, anche di analoga densità e forma. Loro hanno il baricentro basso: così ci riuscirebbe chiunque. 

Intanto abbraccio il mancorrente e continuo a roteare cercando di opporre resistenza con movimenti del bacino: se solo fossi più giovane avrei un futuro radioso nella lap dance. 

Ritorno sulla questione del baricentro e con soddisfazione, che secondo me traspare (mi sa di aver sorriso), ricordo a me stessa che sarò anche troppo magra, ma ho dalla mia parte una discreta altezza (che acuisce la magrezza, ma non è il momento di crearsi altre paranoie). Allungo le braccia e mi appendo al tubo giallo a cui, ne sono certa, le signore stabili non arriveranno mai. Tiè.


Ora mani e piedi sono saldi, ma tutto quanto sta nel mezzo si muove. Cerco di non specchiarmi nel finestrino, ma è come riuscire a tenere gli occhi chiusi davanti a qualcosa di talmente raccapricciante da imporre d'essere guardato. 
"Ok, non sei più idonea ai mezzi pubblici. Non è una catastrofe, troppi anni di agorafobia. Piano, piano, ti riabituerai. Tranquilla". Appena mi dico "tranquilla" sento salire l'attacco di panico. Perché, ormai mi conosco, faccio sempre il contrario di quello che mi consiglia il buonsenso. 


Tocca scendere, c'è niente da fare. Mi piazzo davanti all'uscita, mentre respiro come un orso bianco nei calanchi del Queensland. La frenata è brusca, non c'è dubbio, ma è un tantino esagerato finire guancia a guancia con l'autista. Ora mi fa male anche il costato.
Però sono qui che scrivo, quindi significa che sono riuscita a tornare a casa. Come, ve lo racconterò un'altra volta, ora sono impegnata in festeggiamenti tra me e me, perché comunque la si voglia vedere, ce l'ho fatta!



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