Shopping in Kashmir

So che avevo promesso per oggi un serio e affidabile articolo sul telelavoro, ma mi preme raccontare d'altro; quando scappa una narrazione non ci sono santi.
Qui davanti, a pochi passi dal mio portone (insomma ci arrivo a piedi senza troppi patemi), hanno aperto un minimaket che fa orario continuato, festivi compresi.
Le informazioni sul gestore che mi sono giunte, risultavano parecchio contrastanti: marocchino, rumeno, albanese, qualcuno ha anche ventilato la possibilità che si trattasse di uno "zingaro ripulito" (a certa gente, Rosenberg gli fa una pippa).
Ogni tanto ci lancio un occhio ed è sempre vuoto. 
Toccava andare a comprare qualcosa, perché fa un po' tristezza pensare a una persona che incrementa il giro d'affari tra sé e sé.

Così, ora sono scesa. Tanto stasera lavoro fino a tardi, quindi mi serve un succo di frutta per i momenti di calo di zuccheri.
Ho trovato un bugigattolo che mi ha ricordato i negozi che vidi in Jugoslavia durante la guerra (sì, allora uscivo con notevole ardimento); appena entrata, mi è venuto incontro un ragazzo con la pelle effettivamente parecchio olivastra e bellissimi occhi azzurri un po' arrossati di stanchezza.
Ha detto un "buongiorno" che somigliava a decine di altre parole, poi ha preso a ringraziare non so per cosa.
Gli chiedo da dove viene. 
Lo vedo perplesso. 
Provo con un "where you come from?" che somiglia a centinaia di altre parole.
- Cachemire - risponde (ho poi modo di verificare che si scrive Kashmir, ma non stiamo a sottilizzare).
Sono ammirata, ma al momento devo anche fare i conti con la mia titanica ignoranza su parecchi fatti della vita e del mondo.

Mi concentro perché "la so", ne sono quasi certa; è la memoria che mi frega. Penso a maglioncini morbidi che costano un occhio, e sull'onda della tessitura, gli dico
- India?
Lui sorride, è timido.
Io acquisto roba che non mi serve, comprese due banane che tanto non digerisco, lo so già (buone ma pesanti).
Mentre sto uscendo mi ferma. 
Cerca di spiegarmi qualcosa, tuttavia il gap linguistico ci frega entrambi. Soprattutto, a me sta salendo un attacco di ilarità, perché mi rendo conto che il suo accento e il timbro di voce mi ricordano Peter Seller in Hollywood Party (non posso farci niente, le analogie umoristiche sorgono nella mia mente con moto proprio e irrefrenabile; soffro di una forma di depressione cronica veramente anomala, meriterebbe d'essere studiata).

Saltella quasi dalla gioia: ha la parola giusta.
- Regalo! 
Prende due manciate di ciliegie e le infila nella mia borsa.
Non so come si faccia a faticare a comprendere: il mondo sarebbe un luogo meraviglioso, se solo riuscissimo a guardarlo a occhi nudi.

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