Tentativo di dislocazione con mezzo pubblico
L'auto non parte, oggi è festa ma devo lavorare (mi pagheranno o sarà un'altra fregatura? Perché quando pagano un'inezia e non ti concedono di goderti i giorni festivi, alla fine scompaiono, chiudono la partita IVA e si trasferiscono in Kazakistan... dove un avvocato del sindacato non si reca volentieri), l'ansia si taglia col coltello.
E' che prima di iniziare il turno devo fare una commissione. Non che il luogo sia lontano; non saprei quantificare la distanza in metri perché ho dei problemi di percezione spazio-temporale, ma sono consapevole che oggi è festa e dovrò lavorare, Come sempre.
Ci vado a piedi, sarà mica un problema? E sì che lo è, porca miseria ladra!
M'incammino contando i passi. Poi, al primo accenno di panico, conto anche i vasi di gerani sui balconi di un tetro panorama di case popolari. Al primo accenno di paralisi psicosomatica, mi lancio nell'ardito compito di dividere passi per gerani; e vado in tilt (il risultato è 32, 75, se può essere utile).
Arrivo alla meta, ho il fiatone e l'urgenza di piangere. La persona che devo incontrare mi chiede se mi sento bene. Mai, mai... aspettate che ora ne metto uno maiuscolo... MAI chiedere a un'ipocondrica sotto l'effetto del panico se si sente bene: anche se così fosse, cioè si sentisse bene, automaticamente procederebbe con l'autodiagnostica e si troverebbe un'occlusione coronarica (a essere ottimisti).
Scappo fuori e decido che non riuscirò più a tornare a casa. Faccio progetti su come potrei sistemarmi a vita su quel tratto di marciapiedi: vedo complicato piazzarci la mobilia.
Prendo il telefonino e penso di chiamare qualcuno, un amico, un numero a caso, i vigili urbani, il servizio di emergenza psichiatrica. Credito zero.
Mi guardo attorno con occhi da rana (la paura tende a spingere alla fuga anche i bulbi oculari; si perde un bel po' di fascino in quei momenti) e scorgo il capolinea del bus.
Lo prendo, non lo prendo. Lo prendo non lo prendo. Conto le auto parcheggiate, se la somma sarà un numero pari, lo prendo.
Numero pari, medito di rubare una di quelle auto. Mi risulterebbe meno stressante, anche in caso d'arresto.
Riconto. E' proprio pari. Mai un po' di fortuna!
Arrivo stremata al bus (156 passi), mi siedo, cambio posto, vicino al finestrino, lontano dall'autista, sulla ruota, in fondo. Mi rimetto in piedi, mi siedo dove capita.
L'autista è fuori che chiacchiera. E dai, parti! Togliamoci questo dente.
Cerco di trasmettere l'ordine telepaticamente; niente, a quanto pare non mi funzionano più nemmeno le aree del cervello predisposte alle attività paranormali.
Iperventilo e ascolto la funzionalità della coronaria che dal "Si sente bene" di prima mi sta dando qualche preoccupazione.
Finalmente si parte. Fa paura; m'imbarazza ammetterlo, ma fa una paura terrificante.
Sono solo due fermate... massimo tre; cinque a voler essere pessimisti. Ci siamo solo io e l'autista, niente folla; non cascare dal sedile che non è bello da vedersi; non hai un infarto; 32 lampioni.
Bè, ce l'ho fatta. Ci tengo a tranquillizzarvi. Va tutto bene, grazie, Ora attacco il lavoro che mi sarà pagato solo dopo un viaggio in Kazakistan.
Fidatevi, la vita non è una passeggiata per nessuno.
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