Piccole incomprensioni quotidiane
Sto riflettendo su quanto sia difficile comprendere non solo se stessi (lavoro titanico) ma anche gli altri.
Siamo... quanti siamo? Sei miliardi di persone sul pianeta? Mi pare di sì, anche se tendo a non pensarci un granché per via della sociofobia che mi destabilizza il sistema nervoso, soprattutto se tento di visualizzare sei miliardi di individui che ciondolano avanti e indietro su una sfera.
Comunque, siamo una marea di gente e non si trovano due esseri che abbiano la stessa testa.
Ora sto tentando di fare un calcolo approssimativo del numero di pensieri che quotidianamente infestano il mondo (una buona parte persino in ideogrammi). Ascoltatemi, non ci provate, si fonde la memoria di massa.
Il succo è che capirsi è assai difficile.
La riflessione di oggi, che chiamo "riflessione" per comodità ma ha tutti i requisiti in regola per essere promossa a paranoia, parte da una telefonata con un'amica. Si stava parlando di un libro che entrambe abbiamo letto.
La conversazione è andata più o meno così:
Amica: bello il libro che mi hai prestato.
Io: ma tu l'hai capito?
Amica: no, ma non è che si debba capire.
Io: ... ma essendo un giallo (e non un trattato
di fisica quantistica, per dire) se non lo capisci ti fai delle domande.
Amica: ma a te è piaciuto?
Io: sì, ma non l'ho capito; e non qua e là, proprio
in toto... capito niente.
Amica: l'importante è che ti sia piaciuto. Cioè se
guardi un bel quadro, mica devi capirlo.
Io: Sì, certo che devo capirlo. Magari a modo mio,
ma devo capirlo.
Amica (che inizia ad essere un tantino esasperata):
quando vedi un tramonto incantevole, cerchi di capirlo?
Io: non vedo mai tramonti incantevoli. Qui ci sono
solo tramonti fiacchi. Tuttavia, mi capitasse d'imbattermi in uno scenario del
genere, mi farei delle domande.
Amica: cazzo se vivi male ragazza mia!
Io: sì, e non capisco perchè.
Mi ha salutata e ha attaccato il telefono. Però mi
sa che ha ragione.
Anche se non ci siamo capite.
Vedete, perlopiù funziona così.
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