Sognare rinoceronti


 Da piccola parlavo raramente, perdevo spesso una scarpa e, quando potevo, camminavo fissando uno specchietto che tenevo rivolto verso l'alto. 
Non mi piaceva giocare con gli altri bambini e gli adulti m'incuriosivano, ma preferivo osservarli da un certa distanza.
Il mio passatempo preferito era guardare le immagini dell'enciclopedia medica; tuttavia quei volumi risultavano troppo pesanti da trasportare, quindi li sfogliavo sul pavimento.
Pare fossi poco incline alla gioia o alla tristezza, ma non lo ricordo.
Ricordo che l'unica richiesta che formulavo con petulante insistenza era d'essere portata allo zoo.

Sospetto d'avere imparato precocemente che apparire strani destabilizza e che le persone destabilizzate cedono rapidamente ai tuoi desideri... per pietà o per paura, non so.
Così ero spesso allo zoo, dove le iene m'incutevano terrore e la pantera mi faceva pena perché non smetteva di andare avanti e indietro in una gabbia troppo piccola e buia per un animale così bello.

Ma in realtà non ero lì per loro.
Negli anni della prima infanzia il mio interesse, misto a profondo affetto, era riservato a un rinoceronte.
Dalla prima volta che lo vidi, nonostante fossi una bambina singolarmente ubbidiente, lasciai la mano che tratteneva la mia, allargai le braccia in segno d'abbraccio e tentai di superare barriere e fossato, ovviamente non riuscendo ad avanzare di un passo.

Mio padre, a cui non faceva difetto l'incoscienza, un giorno mi sollevò fino a farmi accarezzare il muso dell'animale.
Ripetemmo quell'esperimento molte volte: arrivavo al recinto, gridavo "Celonte!"; lui giungeva, allungava il collo, gli davo una grattata attorno al corno e iniziava a girare il testone a destra e a sinistra cercando di mettermi a tiro le orecchie, almeno così mi pareva.

"Mio amico", gli ripetevo e ancora oggi ricordo occhi miti e dolcissimi.
Un giorno qualcuno avvertì il guardiano che, correndo verso di noi, urlò minacce, disse a mio padre che era un pazzo, che sarei potuta cadere dentro il recinto e il rinoceronte mi avrebbe uccisa in un istante.
Da allora tornammo solo un paio di volte, il rinoceronte arrivava ma mio padre non mi sollevò più.

Ho sempre trovato estremamente difficoltoso piangere, ma ne avevo una gran voglia perché non sapevo come far capire a quel gigantesco e muto amico che non era colpa mia se non gli grattavo più il corno e le orecchie, che gli volevo sempre bene...
Quindi, smisi di chiedere di tornare allo zoo; adesso direi "lontano dagli occhi, lontano dal cuore", che è la frase più falsa del mondo.

Però, ancora oggi, mi capita di sognare un rinoceronte (non molto spesso, purtroppo) e quando mi sveglio penso "è venuto Celonte, sarà una bella giornata". E così è, sempre.

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