Progressi e pentola a pressione



Non so voi, ma io ho un rapporto conflittuale con le responsabilità. Non mi piacciono, mi mettono ansia, generano angosce più o meno apocalittiche, turbano profondamente il sistema nervoso; per il resto non me ne lamento.
A tratti bramo la noia, perché in essa c'è un piacevole vuoto. Invece niente, sei lì che stai per annoiarti e ti cade addosso una responsabilità. Ecco, tenderei ad associarla al ragno che ti plana sul braccio mentre sei a un passo dall'addormentarti: la gradisco con pari entusiasmo.

In questi giorni mi si è aggiunta una responsabilità, anzi due, al già gravoso pacco di guai che quotidianamente devo affrontare. Va da sé che l'ansia stia tracimando.
Tuttavia non mi lascio abbattere, anzi m'impegno con maggiore solerzia al raggiungimento di nuovi traguardi: prendo il mio elenco delle fobie (dico solo che supera la pagina, e non ne parliamo più) e ci lavoro.

Quindi, è con grande piacere e una punta di presunzione, che posso dirvi che, con calma, con la mia lentezza parecchio zen, sto superando la fobia delle pentole a pressione. 
Tergiverso a eliminarle dalla lista delle paure infondate e paralizzanti solo perché il fischio tende ancora a farmi chiudere la porta e a rintanarmi in bagno o dal vicino di casa (che inizio a vedere provato). 
Ma è quel tipo di rumore che crea ansia; come le sirene, le campane, l'impastatrice del fornaio qui sotto, la musica dodecafonica.

Ammetto, seppur con fastidiosa immodestia, che se continuo così, tra sette vite (massimo otto, ma solo perché sono superstiziosa e predisposta al pessimismo), diventerò una persona cautamente coraggiosa.



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