Estate e sindrome da serie tv


Divano, tazza di tè e telefilm in successione talmente rapida che a volte mi sono confusa: mai mettere lo stesso attore in due lavori diversi, finisce che il pubblico si chiede come l'ergastolano neonazista sia diventato un consulente psichiatra della polizia di New York; magari non proprio tutto il pubblico, ma io sì, forse perché sono facile alla distrazione.
Così ho trascorso buona parte delle vacanze. Sono diventata teledipendente.

Ho visto ogni sorta di teleromanzo, escluse le vicende ospedaliere che, se non c'è il Dottor House, mi mettono ansia, depressione e paranoia da ipocondria.
Bé, anche il buon House riesce a farmi avvertire tutti i sintomi di una malattia autoimmune; non so se ci avete fatto caso, ma i suo pazienti hanno sempre quella roba lì, almeno a inizio puntata, quando invariabilmente si sbaglia diagnosi e al moribondo tocca sorbirsi farmaci potenzialmente letali e inutili, con conseguente trapianto di fegato. Ma ormai è storia vecchia... che ho rivisto.

Durante il mese appena passato, mi sono appassionata a dodicesime stagioni di telefilm di cui ho perso almeno undici serie di puntate pregresse. Ci ho capito poco.
Ho rivisto X files, che resta comunque il mio mito.
E Californication; trasmettono un episodio stasera e mi sa che lo guarderò, perché David Duchovny mi piace parecchio anche stagionato e alienato senza alieni.

Poi ho scoperto qualche nuova serie e sto vagliando la possibilità di metterla in calendario anche per l'inverno.
Eppure fu ai tempi di Lost (cinque anni persi ad attendere un finale prevedibile come un enfisema per un fumatore e scritto da sceneggiatori affetti da demenza precoce) che promisi a me stessa di non infilarmi più in storie televisive infinite. O almeno, di non appassionarmi a vicende che richiedessero una buona memoria, smisurata pazienza, assenza di spirito critico e dolorose doti empatiche. 

E due anni fa (sempre d'estate), vuoi per la concomitanza di un paio di fattori (il caldo paralizzante e la locazione scomoda del telecomando), vuoi che due care amiche fossero dispiaciute per essermi persa una cosa che mi sarebbe piaciuta tanto (ma proprio tanto, dicevano), ho iniziato a vedere Downton Abbey. Lo ridanno dalla prima puntata... possiamo mica evitare di andare a ficcarci il naso, mi dissi. Iniziavo un'ora prima a staccare il telefono, preparare i popcorn, i fazzoletti, lana e uncinetto. Lacrime a iosa.
Quindi, sempre su consiglio delle due, a cui sono stata tentata di togliere il saluto, sono arrivate House of cards e River (quest'ultima è veramente avvincente, seppur deprimente come poche storie capitatemi a tiro; e sono solo sei puntate. Riviste tre volte).

Tirando le somme, in una decina di giorni mi sono infilata in un ginepraio di tormenti televisivi. E io resterò lì inebetita (mi riesce discretamente bene) nell'attesa di un finale dove, può essere che si scopra, erano già tutti morti fin dall'inizio.

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