Lavori a domicilio: un mondo. Brutto (prima parte)
Ormai ci ho preso gusto: i lavori a domicilio li provo tutti. O meglio, mi sottopongo ai colloqui telefonici. Poi qualcuno l'ho anche testato personalmente: verifica sul campo, analisi delle fonti e della notizia, completezza delle informazioni, masochismo.
Se non fosse che so cosa significa, in termini di disperazione, aver bisogno di lavorare, i risultati ottenuti fino ad ora sarebbero confortanti in quanto a umorismo.
Per il resto il panorama è sconfortante, spiritualmente debilitante, urticante, fa venire voglia di armarsi di mazzuolo e partire per spedizioni punitive. Quest'ultima opzione è dannosa per tre motivi: si rischia il carcere, si va contro i propri principi, non si ottiene quanto ci spetta.
Quindi sconsiglio vivamente la soluzione con clava (eccellente per l'uomo primitivo, tuttavia l'evoluzione della specie ci ha penalizzati in tal senso e, temo, anche in altri) e mi permetto di raccomandare tanta cautela prima di inoltrasi in questo mondo. Un mondo perlopiù brutto.
Parto dall'esperienza fresca di giornata: l'inserzione di una "nuova azienda" che cerca collaboratori per trascrizione d'indirizzi e imbustamento depliant.
Mi sono appuntata la conversazione, non invento nulla.
La voce che risponde al telefono è baldanzosa, forzata, sa di qualcuno che prova e riprova davanti allo specchio (in bagno, presumo) il timbro del perfetto manager. Pessimi risultati, si coglie immediatamente la sfumatura cacofonica: troppa baldanza.
Mitraglia un nome e cognome con la velocità che ti fa percepire solo un inizio di codice fiscale, poi mi chiede da quale città chiamo (gli frega niente delle mie generalità di base, tanto continuerà a chiamarmi "signora" fino alla fine della telefonata).
- Siamo una dinamica azienda di Torino.
Ma guarda il caso, alle volte.
- Tra noi di Torino ci capiamo, giusto?
Non vedo perché dovremmo essere agevolati nella comunicazione solo perché viviamo nella stessa città. Visto che i miei amici più cari sono meridionali, colgo subito la cadenza partenopea.
Attenzione: sia chiaro che non ho pregiudizi sulla provenienza del lavoro, ho preso fregature anche in Svizzera; ma m'insospettisco un pochino quando la locazione del datore si adegua prontamente alla mia.
Attenzione: sia chiaro che non ho pregiudizi sulla provenienza del lavoro, ho preso fregature anche in Svizzera; ma m'insospettisco un pochino quando la locazione del datore si adegua prontamente alla mia.
- Lei sembra napoletano - dico con voce che adeguo alla sua; baldanzosa.
Svicola e, immagino, si ripropone di intensificare le sessioni di prova davanti allo specchio.
Mi spiega in cosa consiste il lavoro, che poi è quanto ho già letto nell'annuncio. Ma poi aggiunge dettagli interessanti:
- Una volta a settimana le arriverà un pacco con un numero imprecisato di merce. Imprecisato "perché?", mi chiede lei...
Giuro che non ho chiesto alcunché, sono rimasta immobile e muta, potrei testimoniarlo senza tentennamenti.
- Perché sta a lei decidere il quantitativo di merce che intende lavorare. Quando ha finito, la mette nella prima cassetta delle lettere che trova.
Ora mi sento come una matricola appena entrata nel giro del Cartello di Medellin. Attendo che mi proponga di ingoiare venti dosi di depliant e prendere un aereo per Toronto.
- Per ogni indirizzo trascritto le diamo un euro.
- Caspita, è tanto. Cioè, se in un giorno riesco a scrivere duecento indirizzi, guadagno duecento euro.
- Bravissima!
Esagera sempre, il signore. Troppo entusiasmo per un calcolo che, ammettiamolo, è veramente semplice.
Mi stordisce di parole, e io continuo a chiedere quando pagano: dopo due mesi, tre, vent'anni?
- Alla seconda settimana le inviamo il primo vaglia, laddove lei non disponga di una PostePay.
"Laddove" lo ripete ogni cinque parole (ho contato), anche laddove c'entra una mazza.
- Scusi, mi faccia capire - io sono parecchio pignola, a volte - lei mi manda un numero imprecisato di buste, io trascrivo poi spedisco direttamente ad destinatario. Ho capito bene?
- Bravissima!
E siamo a due "bravissima": quest'uomo giova alla mia autostima.
- Ecco, allora, lei come fa a sapere quante buste ho inviato per poi determinare l'esatto importo in euro che mi deve inviare via vaglia, laddove non abbia una PostePay?
Non mi risponde, svicola di nuovo. Però inizia a manifestare un calo di baldanza. Peccato.
Io insisto.
- Per capirci, io potrei dirle di avere trascritto duecento indirizzi, per un relativo di duecento euro, laddove invece ho buttato tutto nell'immondizia. Cioè, lo dico per lei, questo sistema si presta a fregature, mi spiacerebbe per la sua nuova azienda.
- No, spedisce tutto a noi.
- Ah, non avevo capito.
Mi pareva avesse detto che ero bravissima. Io, quasi quasi, ci provo: tutto semplice, si guadagna pure bene.
La vita è così, un attimo sei contenta e subito dopo ti arriva la mazzata.
- Noi le chiediamo solo un piccolo anticipo (quasi venti euro, nda) a titolo d'impegno da parte del collaboratore. Anticipo che, laddove il lavoro sia stato svolto correttamente, sarà rimborsato dopo le prime cento buste.
Capito?
Vado a vedere il sito di questa nuova azienda alla ricerca di una città di riferimento. Non la trovo. Dalle foto direi che si tratta di New York e che tutti gli imbustatori seriali sono bellissimi e tanto felici.
C'è un mondo nei lavori a domicilio. E continuerò a raccontarvelo.
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