Alla fine...

Immagine di Creozavr

La scena è questa:
Sto camminando con passo spedito (il passo spedito è una licenza poetica, diciamo che per le mie attitudini sto quasi correndo ma per il resto del mondo caracollo), tenendo il trasportino con la gatta. L'andatura e l'ansia da veterinario mi rendono rantolante (ma sì, aggiungiamoci anche le sigarette). 

Sono spettinata, con una tuta da ginnastica che apparteneva ad un amico, quindi rischio di perdere le braghe da un momento all'altro, senza trucco e con una scarpa che lascia intravedere un alone di calzino bianco all'altezza dell'alluce. 


D'altra parte sto andando dal veterinario, non a fare colazione a Buckingham Palace. E aggiungiamo che sento l'inquietante presenza di un attacco di panico pronto ad assalirmi appena giro l'angolo. O anche prima. 
- Ma sei proprio tu? - Mi sento dire. 
Per un attimo penso che il panico abbia acquisito anche il dono della parola.
Volto leggermente la testa e la cervicale scrocchia con la discrezione di una grancassa.
Dunque, io fatico ad associare i volti ai nomi, i nomi alle situazioni, le situazioni a qualsiasi altra cosa. Insomma, ho la memoria brillante come la cervicale.
- Sono io! - dichiarazione che ho sempre ritenuto odiosa e peraltro inutile - eravamo alle medie insieme, due o tre banchi dietro.
La frase mi pare mal strutturata (dietro a chi, cosa, dove?) e so che mentre ci penso il mio viso ha assunto un'espressione più ebete del solito. Penso anche al fatto che alle medie non sopportavo il 99% delle compagne. E non riesco a rammentare da chi fosse costituito quell'uno per cento di rimanenza.
- ah sì! - rispondo mentendo.

Intanto noto che la tizia sta spingendo un passeggino modello Ferrari, con un bimbo imbronciano che esibisce il muso da tucano toco (un gran bell'animale, purtroppo pessimo in forma umanoide). Sorrido al tucano, perchè in fondo i bambini mi piacciono molto. E anche i tucani.
- E' il mio bimbo. Sai, ero ancora in tempo per farne uno e allora... quando il treno passa, poi ci si pente. Tu, alla fine, ne hai avuti?
Alla fine? Se consideriamo che abbiamo frequentato la scuola insieme e che lei non era un prodigio d'intelligenza (di quelli che a 14 anni sono impegnati nel dottorato), il risultato è che abbiamo la stessa età.

- Io ho questa - e le metto a portata d'occhi il trasportino miagolante - e un'altra a casa - aggiungo con una fierezza francamente patetica.
Lei assume un'aria triste, come se si sentisse in colpa per avermi messo in imbarazzo. In effetti lo sono, ma solo perché sento che i pantaloni stanno lentamente assecondando la forza di gravità e sono certa di non indossare il migliore intimo della mia collezione.

- Ma almeno ti sei sposata, alla fine?
Questa "fine" inizia ad essere urtante e, mi pare, anche foriera di cattivi auspici (sono superstiziosa, lo sanno tutti).
- No. Alla fine ho pensato che è meglio saltellare qua e là come la Vispa Teresa - altra menzogna, ma se l'è tirata.
- Beh, in effetti, già ai tempi (si riferisce sempre alle medie) eri tanto strana. 
Evinco che le sembro strana anche ora, nemmeno stessi facendo la statua vivente o, per dire, fossi in mezzo alla strada in mutande (se non mi lascia andare entro tre minuti diventerò strana, in effetti).

- E dimmi, cosa fai di bello? 
La risposta era già pronta, la uso sempre quando mi pongono quesiti sul lavoro, gli hobby, le vacanze, ecc.
- Niente di male! Ora vado a portare la mia bimba dal medico e, mentre ci sono, mi tiro su i pantaloni. Bye.
Credetemi, sono ancora qui che sto cercando di ricordare chi sia la tizia. E anche se realmente sono sempre stata strana.

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