Arancio fa bene

La mia copia
Ho già affermato in precedenza che, a mio parere, una buona lettura funge da eccellente antidepressivo, peraltro senza effetti indesiderati; a meno di non avere tra le mani un libro che proprio non riusciamo a tollerare, ma in questo caso si può sospendere immediatamente l'assunzione, senza scalare il dosaggio, e poi provare con un'altra "molecola".


Per amore di verità, a cui aggiungerei l'etica giornalistica e un'onestà che mi ha creato più di un grattacapo, premetto che l'autore del romanzo di cui mi preme raccontarvi qualcosina è un mio carissimo amico.


A questo punto, qualcuno potrebbe insospettirsi, mettere in dubbio la mia imparzialità; e farebbe bene: con gli amici sono molto più severa che con gli estranei, se quello che scrivono non mi piace, gli dico che non mi piace e accompagno il concetto con suoni provenienti dalle labbra serrate e con un gran gesticolare. Mentre in questo momento sto amabilmente sorridendo, gli occhi limpidi, rilassati, e non esibisco il pollice verso; non mi potete vedere, e mi dispiace, ma credetemi sulla parola.

Emanuele Pettener, l'autore in questione, è uno scrittore (definizione su cui avrebbe da ridire), e in generale un essere umano, con un senso dell'umorismo raffinato e travolgente. È d'aspetto assai carino, se piace il tipo biondo con occhi azzurri; so che l'informazione è irrilevante ai fini letterari, tuttavia mi pare propedeutica per delineare un contesto conviviale (a volte fatico veramente tanto a capire cosa scrivo, e perché).


Vive in Florida, tra incantevoli tramonti sull'oceano, iguana, casette per gli uccellini e ragni banana (non chiedetemi, esistono, non desidero saperne di più) nel giardino di casa. 
A Boca Raton, dove insegna a studenti dal sorriso molto americano, ha scritto numerosi romanzi. Li ho letti tutti, e mai suono irriverente è uscito dalle mie labbra.


Ma Arancio è il mio preferito, peraltro non solo della sua produzione. Io amo quel romanzo in senso più ampio, cosmico, bibliouniversale (vocabolo inventato di sana pianta, ci appongo un bel copyright). Sono alla settima o ottava rilettura: periodo di netto calo del tono dell'umore e necessità di prendermi una pausa da un tomo di 1300 pagine iniziato a giugno e parecchio lontano da giungere a conclusione (opus interessante, ma devo assumerlo a piccole dosi altrimenti vado in sovradosaggio con relative reazioni tossiche).


La trama è avvincente, divertente, surreal-sentimentale (mi sa che ci scappa un altro copyright), lo stile mi crea quel briciolo d'invidia che corrode il fegato come soda caustica, i personaggi sono tratteggiati con ironia, a tratti con una sorta di sarcastica benevolenza. 


La storia inizia in un pub a Esmusséin, Islanda, dove una sera il protagonista Tommaso Arancio, insegnante di tango, incontra la donna più ricca d'America.


Per lei è il classico colpo di fulmine; per lui un colpo di fortuna. Fulmine non corrisposto, capita.
Le svolte significative della vita sono quella roba lì: un momento stai bevendo un grog a un tavolo de La sardina celibe (così si chiama il pub) e quello dopo sei in Florida a scrivere (o non scrivere, come in questo caso) articoli sulla seduzione per una celebre rivista.

"Mmmmh, non credo di saper scrivere..."
"Tutti sanno scrivere. Infatti, scrivono tutti. Ma non tutti hanno il profilo da scrittore, questa mascella volitiva..." e mi afferrò la mascella, stringendomi le guance, "e queste labbra da maschio," le labbra mi stavano schizzando fuori e non riuscivo più a parlare: "mmnnprrr, mfff!"  
"Eh?"
Con delicatezza le afferrai le manocce grassocce e gliele levai dalle mie guance, riacquistando la favella:
"Signora, la prego! che modi! Sono un tanguero professionista!"
"Potrei pagarti, vediamo... mille dollari a pezzo, per quattro pezzi al mese."
"Tuttavia scrivere è un'urgenza che mi porto dentro sin da bambino."

Un articolo che non decolla, e a dire il vero non accenna nemmeno ad avviare i motori, una riccona taglia extralarge che cerca di sedurre il tanguero sfuggente come un'anguilla, colleghi "leccaculo" e variamente nevrotici, si muovono (a parte l'articolo che insiste a restare immobile) incrociando personaggi da mondo onirico.
Abbiamo Dean Martin (sì, proprio lui, quello che cantava That's amore) che fa il rosticcere in un supermercato mentre canta That's amore (appunto) e un barista che crede d'essere Dio ma che ultimamente non crede più in se stesso.

Serotonina ed endorfine sparate al massimo. Almeno, a me fa questo effetto.

L'unica pecca del romanzo è che si legge in un soffio. Certo, rileggerlo è sempre piacevole ma a lungo andare ho perso l'ebbrezza dell'effetto sorpresa finale e rido una  o due righe prima di ogni battuta.
Ho proposto all'autore di scrivere il sequel, ma lui tentenna, parla di ragni banana, lavora ad altri romanzi, e improvvisa due passi di tango. E' fatto così. 

Emanuele Pettener, Arancio. Ed. Meligrana (Collana Priamo). 

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