Esperienze psichiatriche
Preferirei non scrivere di medici e farmaci. I motivi sono tanti, perlopiù personali; tuttavia vorrei anche evitare d'influenzare scelte molto importanti.
Non sto dicendo che ho la presunzione di farvi cambiare idea sulle cure che qualcuno di voi sta seguendo o sulla via che intende intraprendere in tal senso, ma ricordo che per un po' di tempo (soprattutto all'inizio del disturbo, quando ero convinta non saper più prendere una decisione sensata) tendevo a riporre troppa fiducia nei consigli altrui, e sospetto di aver fatto alcuni sbagli macroscopici proprio a causa di questa tendenza.
Così, mi limito a raccontarvi le mie esperienze con gli psichiatri e solo ed esclusivamente perché le ritengo divertenti (viste in retrospettiva).
Ho l'obbligo di dirvi che quando mi ammalai (lo so, non è una malattia, si tratta di un disturbo; a mio parere cambia poco, e comunque "quando mi disturbai" suona malissimo).
Dicevo, quando mi ammalai ero convinta che gli psicologi vendessero aria fritta. Impiegai anni a capire quanto mi sbagliassi, ma negli errori tendo alla perseveranza.
Quindi mi rivolsi agli psichiatri con una fede quasi mistica.
Il primo: ci conoscevamo da tempo, quindi lo scelsi più per pigrizia che per altro.
Mi lasciò una mezzora da sola, in una stanzetta immersa nella semioscurità, a compilare un test che ancora oggi sono convinta di aver già adocchiato in precedenza su una rivista (e non di psichiatria); ma può essere che mi sbagli.
Al ritorno, dopo aver controllato con invidiabile rapidità le risposte, mi guardò da sopra gli occhialetti da gufo:
- Hai dei problemi seri - mi disse.
- In che senso?
- Nel senso che sono seri.
- Ah, ho capito.
Non era vero, avevo capito nulla. Ma, vedete anche voi, mi erano stati offerti pochi elementi su cui ragionare.
- Direi che iniziamo con tre sedute a settimana e un basso dosaggio di Prozac - continuò dopo essersi tranquillizzato sul fatto che capivo.
- Prozac? - chiesi con un certo allarme.
- Non ti preoccupare, poi lo aumentiamo, prima vediamo come lo tolleri.
- Preferirei non doverlo tollerare...
- Ne parliamo la prossima seduta.
- Ecco, anche di questo vorrei parlare. A causa dei miei problemi, che tu confermi essere seri, il lavoro sta colando a picco e ho praticamente dato fondo a tutti i risparmi, che già non erano molti...
- Se vuoi guarire devi fare qualche sacrificio.
Diede alla segretaria istruzioni per dimezzare la parcella e io sborsai una parcella da sacrificio biblico.
Non tornai più.
Il secondo, tipo molto originale (pure troppo) non mi volle prendere in cura perché mi trovava carina ed effettivamente pazza. Comunque, sorvolando signorilmente il problema mentale, avrebbe gradito portarmi a cena fuori.
- Guardi, direi che non è il caso. I ristoranti tendono ad agevolarmi l'attacco di panico - risposi cortesemente.
Non si perse d'animo, anzi esibì un entusiasmo un po' troppo adrenalinico.
- Ai primi sintomi le faccio un'endovena di Valium e passa tutto.
- Beh, forse gli altri avventori proverebbero un certo disagio vedendo un cavaliere che stringe un laccio emostatico al braccio della sua dama...
- Vede?
- Cosa?
- Lei si preoccupa eccessivamente del giudizio degli altri; da qui gli attacchi di panico.
- Non mi pare; tuttavia ammetto che il laccio emostatico m'imbarazza un po'. Poi credo sia sconveniente una cenetta tra uno psichiatra e la paziente scartata per via della presunta pazzia.
- Non presunta, non inizi a farsi sconti.
Visita gentilmente offerta in luogo di una cena che non c'è mai stata.
Il terzo era un eccellente psichiatra, scuola partenopea (ottima), molto sensibile, umano, mi ricordava un vecchio orso. Mi piaceva tanto e soprattutto non pensava che io fossi pazza.
Certo mi propinava silos di antidepressivi e ansiolitici, ma il nostro rapporto medico-paziente funzionava a meraviglia. Condivideva, al centro della spartana scrivania, un pacchetto di Malboro; fumavamo come locomotive a carbone.
Purtroppo tra noi s'insinuò il transfert, seppur in forma atipica: ci vedevo un papà; lo sognavo vestito da Babbo Natale che mi portava doni e una tazza di cioccolata calda alla Vigilia.
Essendo tutt'altro che cretino, interruppe i nostri incontri dopo un anno scarso di terapia.
Mi sentii come un'orfanella di foggia dickensiana.
A tutt'oggi non me ne faccio una ragione: quale padre abbandona la figlioletta nel momento del bisogno?
Mi lasciò in eredità il numero di telefono di una sua collega:
- Credo che nel suo caso, una figura femminile sia più indicata.
Cattivo papà!
La donna si rivelò campana anche lei, competente e paziente. Unico neo: a tratti interrompeva i miei concitati racconti per chiedermi "Ma le sembra normale?"
Santa donna! Se fosse normale non sarei qui.
Il nostro fu un lungo rapporto che terminò quando decisi di chiudere con gli antidepressivi e dopo essermi accertata di aver prosciugato la riserva , che credevo illimitata, di episodi traumatici di infanzia, adolescenza, età adulta e anche futuri.
Ora, da qualche anno, mi sono convertita alla psicologia. Mi pare offrire risultati confortanti. Magari un giorno ne parleremo.
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