Filosofia da bar


Sì, origlio. Poi riporto. Sono una specie di Mata Hari di periferia.
Se solo mi spostassi di più, potrei tentare il doppio gioco. Forse mi gioverebbe anche imparare a danzare, ma me ne preoccuperò a tempo debito.
Da quando hanno aperto il bar qui sotto, ho riempito di appunti un taccuino.
Non è che li spio, sono loro che urlano.
Forse li spio un po', tuttavia (mi permetto d'insistere) gli avventori passano il tempo a fumare sul marciapiede e a esporre dati sensibili a volume esagerato.
Oltre a violazioni della privacy di schemi e tattiche calcistiche, di cui fatico a comprendere i meccanismi, mi arrivano considerazioni su qualsiasi argomento. Si va dalle cose pratiche a inconsapevoli lezioni di filosofia, dalla critica (lucida e a tratti raffinata) dei reality televisivi all'arte cinematografica.

A giudicare dalle voci (non li vedo, preferisco immaginarli) e dai racconti, i tipi da bar qua sotto sono prevalentemente miei coetanei, ma con un vissuto decisamente più interessante del mio; esperienze che io non conosco e che, ad essere onesta, non mi mancano così tanto.
Hanno idee innovative su un sacco di tematiche, dai reality al calcio; saprebbero allenare una squadra o governare l'Italia meglio di chiunque altro, ma sospetto sia così in ogni bar.
Hanno anche proposte di legge di un certo spessore contro la criminalità: ai pedofili si spara, per gli stupratori c'è la lobotomia (quando l'hanno spiegato aveva un senso che purtroppo ora non ricordo), agli assassini, ai ladri e ai rapinatori... bé, dipende chi hanno ucciso e a chi hanno sottratto i beni.
In mezzo a questo marasma, a volte ridono su storie effettivamente esilaranti. E io, dal mio computer (dove fatico un po' a concentrarmi) rido con loro, anche se non lo sanno.
Poi ci sono le litigate, e mi sale l'ansia.
Quando parlano di cinema, mi capita di avvertire l'impulso di scendere e stringere loro la mano: recentemente hanno votato all'unanimità, o quasi, C'era una volta in America, come il miglior film di gangster; secondo in classifica: Il Padrino (solo i primi due episodi); Gomorra, a parere loro, manca d'indizi sui trascorsi infantili dei protagonisti, che sarebbero fondamentali per rendere la storia più avvincente (non l'ho letto e non l'ho visto, quindi non posso esprimermi in merito).
Menzione speciale per La stangata, che hanno definito "il capolavoro". Capite perché mi piacerebbe scendere a congratularmi.

Ora che abbiamo il contesto, mi avvio al motivo di questa tirata.
Stamattina, mentre ero impegnata su un testo riguardante i sani stili di vita applicati a colesterolo e diabete, uno di loro ha ricevuto una telefonata.
Tutti si sono zittiti. Urlano spesso, anche a tarda ora, ma nutrono un apprezzabile rispetto per lo smartphone.
Si è capito quasi subito che il destinatario della chiamata parlava con un bambino colpito da intenso mal d'orecchie; dopo qualche minuto trascorso a decidere cosa fare con la scuola, ed eventualmente con il pediatra, si è pattuito che domani il bimbo trascorrerà la giornata con l'uomo attaccato al telefonino.
Mi ha fatto piacere e, mi è parso, anche a lui.

La conversazione è finita così (me la sono appuntata):
- Perché hai la voce triste? Di' tutto a papà tuo.
- ...
- Tanto, che stai così o stai allegro, niente ti cambia. Sorridi, amore. Sorridi.
Posso dirlo? Quel bambino l'ho invidiato tanto. Mio padre mi ha presto insegnato che la vita è dura, difficile, bastarda. Lo ha fatto con amore, per prepararmi, ma io non ho elaborato il concetto come lui sperava. Ora sono pronta alla depressione.
Dalla vostra Mata Ale, per oggi, è tutto. Passo e chiudo.

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