Internet e l'ottundimento del sensorio


"Ottundimento del sensorio", termine medico che indica un animale "imbambolato".
Questa mattina, la mia amica Maria Cristina, veterinaria, mi ha messa a conoscenza di questa definizione che ha aperto la stura a una serie di considerazione sulle nuove generazione, ma anche su quelle vecchie come la mia.
Le ho descritto, al meglio delle mie possibilità, l'aspetto che so di avere appena sveglia (e che mantengo senza sforzo per il resto della giornata): sigaretta pendula, occhio vacuo, fatica a digitare anche sulla tastiera.
Ha confermato che si tratta di ottundimento del sensorio.

Non so se in questi casi il veterinario attacchi l'animale a macchinari predisposti a mantenerti in vita, seppur in presenza di encefalogramma perlopiù piatto. So per certo che prima dell'avvento di internet, delle App e dei giochini annessi, il mio aspetto era diverso, la casa più disordinata ma a mia misura, e c'era sempre pronto un libro da leggere o una storia da scrivere.
E per me raccontare storie (lunghe storie, che richiedono mesi per giungere a conclusione) è sempre stato uno sfogo, l'antistress più potente; ho le idee, ma mi fa fatica metterle su carta... oppure le metto su carta e poi non ho voglia di ribatterle a computer; ci sono taccuini sparsi ovunque che attendono d'essere digitalizzati. A dire il vero, a loro frega niente di diventare un file di word, ma a me farebbe piacere ritirarli ordinatamente in un pianale della libreria e non pensarci più... perché le storie, se non le concludi, continuano a chiamarti, fanno un chiasso infernale.

Per me, e per chi di voi, ha difficoltà a uscire di casa, internet ha significato allargare il giro di conoscenze (e alcune amicizie nate via web sono preziosissime), avere una visione più ampia del mondo e delle sue emozioni... ma ne avevamo realmente bisogno?
Sempre con Macrì (chiamo così la mia amica, conosciuta su Fb a dire il vero) si ragionava sul fatto che l'ottundimento di chi, come noi, è costretto a usare internet anche per lavoro, e quindi per un monte ore impressionante, porta a un rallentamento di azione e di reazione. Ci si arrabbia via web, si protesta via web, ci si deprime via web. Ecco perché le piazze si stanno svuotando di manifestanti, mi sa.

E nella vita reale? Si trattengono le frustrazioni, spesso più che legittime, e si attende di accendere il computer per sfogarsi... io sono riuscita a litigare con la banca, la società assicurativa dell'auto, persino con il meccanico e un datore di lavoro insolvente, via Whatsapp e mail. E ho rimpianto i tempi in cui potevo intonare la voce su toni sarcastici o vagamente minacciosi, guardando la reazione spontanea dell'interlocutore. Le faccende si risolvevano meglio, più in fretta e con minore dispendio d'acido gastrico.

Non molto tempo fa, un medico mi ha detto che il web, e in particolare i social, creano più dipendenza dello Xanax e della nicotina. Parliamo di due sostanze che se provo a toglierle mi provocano pulsioni un po' violente.
Io so che internet non fa bene all'umore, che agevola l'ansia, eppure appena sveglia lo accendo persino prima della sigaretta.

Tuttavia, la scorsa settima, causa guasto in zona, sono rimasta quasi ventiquattro ore senza internet e telefono (il mio telefonino, pur essendo "avanzato" si connette solo con il Wi-Fi di casa: è un sistema avanzato per agorafobici).
Dopo il panico da "oddio, ora come consegno il lavoro? E se proprio oggi mi arriva la mail che attendo da due mesi?" è arrivata una giornata molto serena.
Ho riordinato casa, ho ascoltato vecchi vinili, ho iniziato a scrivere un nuovo romanzo e sono persino uscita a chiacchierare con la fioraia qui sotto, che è molto simpatica ed ha una poltroncina comoda in mezzo a piante e profumo di rose; prima di andare a dormire sono riuscita a meditare come si deve, dopo mesi, e raggiungere uno stato di serenità che per un momento mi ha destabilizzata (mancanza d'abitudine, fa quell'effetto lì).

Quando ho visto che il modem aveva nuovamente tutte le lucine verdi accese, ho avvertito un senso di perdita.
Perdita di libertà? Temo di sì.

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