La camminata ondeggiante

Oggi mi gira la testa. A dire il vero, i capogiri e a volte le vertigini, mi accompagnano da anni quasi quotidianamente.
Tra le varie diagnosi raccolte qua e là dai medici, ho annotato: cervicale, effetto collaterale dei farmaci, ansia (qui, il professorone di turno mi ha rubato la parcella), labirintite, non lo so.

"Non lo so" è la patologia che, a distanza d'anni, continuo ad apprezzare di più per l'onestà intellettuale e professionale. 
Quindi, poco fa sono uscita con il sintomo peculiare del non lo so (prima o poi troveranno una cura, la ricerca fa passi da gigante) e mi sono esposta al mondo.

Al mondo... diciamo al quartiere, che tuttavia è un microcosmo multietnico, trasversale per età e modalità intellettuale, ricco di suoni e di cose belle e brutte: un mondo a tutti gli effetti.
Più che camminare, ho basculato intorno all'ansia, con l'aria dell'ubriaco che non ricorda la strada per casa o che tenta di capire se sta sognando nel suo letto o se si è perso sul serio.
Ho notato che qualcuno mi guardava con la coda dell'occhio. E io mi sento a disagio quando mi guardano, anzi direi che è una cosa che odio. Il guaio è che amo osservare gli altri, m'imbambolo a fissare le persone, le fotografo mentalmente e intanto immagino cose... essenzialmente la vita probabile del soggetto.

Capirete che è complicato, quando si guarda intensamente qualcuno a caso, non ricevere un'occhiata (che il più delle volte esprime un deciso "cazzo vuoi?").
Ma oggi, fuori, ho fissato a lungo solo i miei piedi. E' normale, preoccupata com'ero dei sintomi del non lo so.
Però ho continuato a camminare, cercando d'ignorare la fame d'aria e il panorama che per qualche motivo mi si presentava dietro un vetro concavo, e a tratti anche un po'convesso.

Sono arrivata al mercato... una ressa, un assembramento di gente, un'adunanza di facce ostili (non è vero, pensavano ai fatti loro, anche se in modo un briciolo ostile), un campo d'addestramento per la fobia sociale.
Ma mi sono estraniata. Oh, se mi sono estraniata. In un amen mi sono ritrovata su una spiaggia deserta. Il vento spintonava un po' e mi tormentava i garretti con carrellini su cui ho evitato di interrogarmi.

Così ho continuato a camminare e poco a poco il passo è diventato più deciso.
Che meraviglia!
Già, se non fosse che qualcosa mi ha distratta. E non era un qualcosa da niente.
Il banco della macelleria presentava, esposti a testa in giù, agnelli e capretti per la grigliata di Pasqua.

Capiamoci, di quello che mangia il mondo non me ne frega alcunché: libero arbitrio, è un concetto a cui tengo e che difendo; ma io non ce la faccio a vedere, a figura intera, a testa in giù, esposta agli occhi di tutti, una creatura che vorrei saltellare sulla mia spiaggia privata e virtuale.
Così, il non lo so, si è declinato in panico (conosco il panico da macelleria, non è roba per cuori deboli) e io mi sono accomodata sul bordo del marciapiede, seduta su una foglia di lattuga di cui resta memoria nei miei pantaloni (che tanto avevo previsto di lavare quanto prima già da tempo).

Dalla spiaggia, ho visto passare un aereo con lo striscione "voglio tornare a casa!".
Ho atteso quel quarto d'ora di rito, tanto per riprendere fiato e un minimo di amor proprio, ho ignorato lo sguardo dei passanti e me ne sono fregata della loro vita più o meno ostile, mi sono caricata il mio zaino sulle spalle (pesa, è pieno di roba; un giorno scriverò del mio zaino) e ho sgambettato verso casa parlando da sola (nulla di interessante, contavo i passi a voce medio-alta).

E così, oggi ho l'umore tetro... non abbastanza da scrivere qualcosa di divertente (il mio senso dell'umorismo si alimenta di cupezza interiore), ma comunque sufficiente a farmi "apprezzare" il non lo so.

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