I pagamenti e la teoria dell'imbarazzo

Che il mio lavoro consista prevalentemente nello scrivere testi di divulgazione medica, mi pare di averlo già detto (abbiate pazienza, ma raramente ho memoria di quello che scrivo; con la prova orale me la cavo meglio). Che io sia ipocondriaca è cosa nota. Che faccia una certa fatica a mantenere un contegno serio e decoroso lo si evince in un amen.
Sommando i tre elementi in nostro possesso, e analizzandoli secondo la filosofia di Sherlock Holmes ("Una volta eliminato l'impossibile ciò che rimane, per quanto improbabile, dev'essere la verità"), la verità è che soffro lavorando.

Lo so, pochissimi individui (che secondo me hanno problemi grossi), si divertono mentre portano avanti il loro mestiere: giorno dopo giorno, sempre la stessa minestra, colleghi subdoli come crotali (i quali, comunque, prima di mordere hanno l'onestà di lanciare avvisi acustici), capi ansiogeni, panorama spento.


Come dico sempre, la vita non è una passeggiata per nessuno. E io fatico parecchio a fare due passi.
Ma qui il problema consiste in qualcosa di psicologicamente più contorto.
Io non sono mai stata assunta in nessun luogo di lavoro. Colpa mia, qualcuno ci ha provato, c'è anche chi ha insistito.
Pur non soffrendo di claustrofobia nella forma classica da manuale, l'idea di sapere cosa avrei fatto fino al giorno del pensionamento, mi è sempre risultata soffocante.
Preferivo (uso il passato perché ora comincio a maturare qualche dubbio) non avere la certezza di uno stipendio fisso (di cui c'è un gran bisogno), ma sentirmi libera di saltellare qua e là da un lavoro all'altro.

Pensare che per il resto sono abbastanza abitudinaria, i cambiamenti mi stancano solo a guardarli. Ma il lavoro...
Nella mia vita, che ormai è abbastanza lunga, non ho mai accettato contratti che superassero l'anno di validità.
Avevo stimato che dodici mesi di tranquilla routine lavorativa fossero il massimo sopportabile per non incappare nel calo d'attenzione e quindi di prestazione, poi dovevo passare ad altro.
Da ciò si evince che la libera professione era la soluzione.

Ma la libera professione può sfociare in tempi morti e nel rosso in banca; tra parentesi, è la migliore dieta, nessun nutrizionista potrebbe mai proporre nulla di altrettanto efficace.
E comunque andava bene prima che mi saltasse il tappo e mi diventasse un filino complicato saltellare qua e là.
A questo si aggiunge il problema di cui voglio parlarvi, forse nella speranza di trovare qualcuno con analoga difficoltà (sentirsi soli nelle storture mentali non è bello).

Fare il freelance, in qualsiasi tipo di attività, espone a pagamenti procrastinati fino all'inaccettabile, discussioni sulla parcella e, non ultimo (anzi, direi primo), alla scomparsa del cliente che nemmeno se vai a Chi l'ha visto arriva una segnalazione.
A ciò si aggiunge il Problema, ossia il mio imbarazzo paralizzante nel chiedere ciò che mi spetta.

Per qualche tempo ho pensato si trattasse di una questione di "eleganza", perché parlare di soldi è veramente poco di classe. Poi mi sono accorta che l'eleganza non è uno dei miei punti forti (esco in pigiama, vedete voi).
Ho anche elaborato una teoria su quanto chiedere possa sminuire la propria posizione (lavorativa, sociale...) per poi ammettere che le persone più benestanti chiedono a destra e a manca senza farsi problemi; anzi, più che chiedere, pretendono senza sconti... e fanno bene, altrimenti da dove gli arriverebbero tutte quelle ricchezze?
Infine è arrivata l'idea più folle: dovrei già ringraziare che mi abbiano dato un lavoro (che, come detto sopra, mi crea anche una certa sofferenza psicofisica).

Ieri ne ho discusso con la mia psicoterapeuta (donna meravigliosa, ve ne parlerò) e ho colto che la mia posizione al riguardo è proprio questa: adesso non valgo così tanto da essere pagata. No, no, peggio: nella mia situazione d'impanicata, agorafobica, un po' fuori di testa, dovrei pagare io per lavorare (insomma, qualcosa del genere).

Lei mi ha fatto comprendere l'assurdità della cosa: l'autostima ne ha tratto giovamento, ma mi sono anche sentita un po' imbecille... tanti sacrifici per una convinzione errata, che spreco!
Un'amica, un giorno mi ha riportato la frase che spesso ripete una sua amica (c'è un giro d'amicizie che alla fine diventa virale): "chi chiede è un chiedone, chi non chiede è un coglione".
Dal punto di vista grammaticale fa acqua da tutte le parti, scivola anche nello scurrile, ma quanto è vero!

Insomma, tra la psicoterapeuta e l'amica dell'amica, oggi mi dedicherò a battere cassa. 
E sto anche pensando a cambiare lavoro, per dire.
Casomai vi farò sapere.







da PensieriParole <https://www.pensieriparole.it/frasi-film/sherlock-holmes-(1946)/citazione-1863>

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