Aspetto con ansia

Capita spesso di sentire "aspetto con ansia". La frase di solito termina con: la telefonata di qualcuno particolarmente gradevole (o a cui si sta mentendo), l'uscita di un nuovo romanzo, l'ultimo modello di telefonino, ecc.
E' un modo di dire che trovo divertente, perché io (e suppongo molti di voi) aspetto con ansia e basta.
Non so cosa aspetto, a parte le catastrofi; quindi do al concetto un significato anticonvenzionale, diciamo così.

Quello che per altri è un attendere con beata trepidazione, per me è ansia anticipatoria. Non ci sono santi, non si scappa.
Ci ragionavo stanotte, nell'intento di sfuggire da altri pensieri ben più molesti, e mi davo ragione su un dato certo: l'aspetto più insopportabile dell'ansia, sono i suoi tempi d'attesa. 
Attenzione: come sempre, intendo l'ansia patologica, non quella che gli esperti definiscono salutare, propedeutica alla creatività, salvifica, e altre belle cose.

So che tra una settimana (e qui sono indulgente con la tempistica; riesco ad entrare in allarme anche con mesi d'anticipo) ho un appuntamento importante? Inizio a sentire lo stomaco che preme contro il lobo frontale del cervello (quindi non mangio), dormo poco e male con incubi che prevedono anche la comparsa di onde anomale, il volume del mondo diventa troppo alto, mi isolo più di quanto non faccia anche in assenza di appuntamenti.

E chiariamo che l'incontro può presentare anche risvolti piacevoli... non parlo mica di andare a intervistare un serial killer a domicilio né di dovermi sottoporre a una gastroscopia. 
Sì, l'ansia anticipatoria si fa viva anche se devo incontrare gli amici, ritirare una vincita favolosa (mai capitato, ma lo immagino spesso), andare al cinema (il cinema mi manca parecchio).

Dal momento in cui viene fissato l'appuntamento, la mente inizia a lavorare contro di me; si brucia il poco tempo libero di cui dispone, per preparare scenari apocalittici o comunque molto imbarazzanti, e mi dice che in ogni caso io non mi divertirò e sentirò costantemente l'urgenza di tornare a casa, infilarmi nel letto in posizione fetale, tirare le coperte fin sopra la testa.

Chi non sa di cosa parlo, chi non conosce questo tipo di sensazione, probabilmente si chiederà come si fa a vivere così.
Non saprei cosa rispondere, se non facendo un esempio: se qualcuno batte un record, magari in ambito sportivo, viene spontaneo domandarsi come ha fatto.
Il personaggio in questione, molto probabilmente dirà che si è allenato molto e duramente, che fin da adolescente ha iniziato a lavorare quotidianamente per raggiungere quel risultato.
Ecco, è così: sono allenata. Sono talmente allenata che spesso le mie performance ansiogene mi sembrano una cosa normale.

Ci si abitua a tutto, sapete.
Non è bello da dirsi, ma ci si abitua a qualsiasi cosa. E questo è un guaio, perché l'abitudine tende a smorzare un po' la spinta propulsiva alla ribellione.

C'è di buono che il più delle volte, il momento dell'appuntamento non è affatto tremendo, anzi.
Tuttavia attendo con ansia... nulla di particolare.
Attendo con ansia e basta.
Look forward in inglese, perché tanto mi capiterebbe anche in terra britannica.

Commenti

  1. Ho perso tutto e sto morendo di cancro. La vendetta è completata. Vit.

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    1. Perché parli di vendetta?
      Non voglio scrivere frasi fatte o parole di cordoglio, ma è ovvio che preferirei che nessuno si trovasse a scrivere queste parole. Mi dispiace, ecco.

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