L'alluce mi ha detto

Stamattina non mi sentivo benissimo, e avevo ragione.
In una mattinata piovosa, buia e persino freddina (come si evince dalla foto), ho deciso di opporre resistenza a un latente senso di panico e stanchezza, recandomi in un mercato lontano da casa.


Ho indossato mia casacca preferita, quella di lino che tengo per le occasioni speciali; non è così bella, ma mi piace tanto. Durante un conflitto interno pre-esposizione al mondo, mi sono seduta sul divano a fumare una sigaretta. Dovevo essere molto pensierosa o semplicemente catatonica, perché ad un certo punto ho colto di aver dimenticato la sigaretta. Indice e medio rivelavano una temperatura fuori norma; e un odore, simile a quello di plastica bruciata, mi ha messo davanti a una brutale verità: la casacca non è di lino (già il suo costo era un indizio utile, ma sono sempre convinta d'imbattermi in occasioni che solo una donna astuta e vigile come me può cogliere al volo) e ora ha un buco sotto il seno. 



Senza perdermi d'animo, perché da queste cose si vede il coraggio e la determinazione di una persona (anche se ha voglia di piangere), sono uscita. 

Casacca bucata, jeans e un velo di rossetto (senza non si esce, ormai lo so), ho preso l'auto.
Non è partita al primo colpo né al secondo, al terzo ha dato un cenno di vita, flebile, il polso si sentiva appena.
Ho contato fino a 22, il mio numero preferito, e il motore ha tossito: buon segno, anche il 22 ha un suo perché.
Comunque, dopo un po', forse al ventiduesimo tentativo, l'auto è partita, vanificando il mio impegno ecologico con una discreta nuvola nera (metà fuori e metà nell'abitacolo... un giorno quel fumo mefitico mi ucciderà, tutti penseranno che mi sono suicidata e nessuno si stupirà; è molto triste).

I mercati sono una palestra mentale in cui esercitarsi per imparare da capo a sopportare il contatto umano. Lì di gente ce n'è tanta, carica di borse, borsoni, carrellini, betoniere (non è vero, ma sembra), che la rende ancor più monumentale, quasi minacciosa. Nessuno si interessa di te, se non per valutare il tuo grado di reattività casomai decidessero di passarti davanti nella fila al banco dell'ortolano. Inoltre, si trovano molte vie di fuga, facilmente raggiungibili anche se ci si trova imbottigliati nel "traffico".

Alle vie di fuga presto sempre molta attenzione, ovunque vada; nella testa ho una hostess che con generoso movimento di braccia mi fornisce le indicazioni del caso... e mi spiega come rannicchiarmi in caso di imminente impatto con una montagna.
Sono io che non sono riuscita a intuire lo scontro: senza il minimo preavviso mi è planata addosso una signora che avrebbe fatto una dignitosa figura in un dohyo di sumo.
Mi è salita sul piede protetto solo da scarpe di tela (che con la pioggia garantiscono un protratto pediluvio e la perdita della suola) e, come ho appurato poco dopo, mi ha spezzato a metà l'unghia dell'alluce.

Ho preso due chili di cipolle di Tropea (che adoro) e la prima via di fuga. Mi sono seduta sul marciapiede, ho tolto la scarpa con suola latitante e ho iniziato a bofonchiare uno straziante lamento.
Nel dolore pulsante, ho sentito la voce dell'alluce che è riuscita a mitigare il malessere avvertito prima di partire da casa.
Quel dito, che ho sempre reputato goffo e poco armonioso (almeno nel contesto del piede) mi ha ricordato che esistono dolori più grandi di quelli che affronto quotidianamente; mi ha rammentato che senza preavviso piovono eventi reali capaci di chiudere la partita stracciando la squadra di casa.
Mi ha parlato del mondo con le sue grane gigantesche.
Forse l'unghia cadrà, ma in fondo mi ha fatto bene.

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