Agorafobia e taglio dei capelli

Come alcuni di voi sapranno e vivranno quotidianamente (vi considero fratelli, sappiatelo), uno degli incubi peggiori, per chi soffre di agorafobia e fobia sociale, è dover attendere (lunga attesa) in un luogo che non sia casa propria. 

Se poi c'è anche gente e sussistono oggettive o anche solo congetturate limitazioni alla fuga, il quadro è perfetto per incorniciare un grandioso attacco di panico.
Con queste premesse, uno dei posti peggiori è il parrucchiere.
Ce ne sono molti altri, ovvio, ma andare a tagliarsi i capelli (o, peggio, a fare la tinta) è un'impresa che richiede non poco coraggio.

Mentre sto seduta aspettando il mio turno, recito mantra dal testo improvvisato e mi dico che appena le forbici inizieranno il loro lavoro, io non potrò più scappare.
Quindi, quando tocca a me, vengo sopraffatta dalla più cupa disperazione.

Per anni mi sono imposta di portare i capelli lunghi, facendomeli piacere solo per necessità.
In seguito ho iniziato a guardare tutorial e a scalarmi la chioma da sola, con risultati che vi lascio immaginare.
Il guaio è che mi turba sia il calore sia il rumore del fon (o fohn, è uguale), quindi il corto è preferibile. 
Lo so, la mia mente andrebbe abolita per legge.

Poi ho acquistato una macchinetta e mi sono convertita al capello a spazzola; la "tosatura", unita a una magrezza al limite dell'anoressia, mi facevano somigliare a una di quelle povere anime immortalate nei vecchi manicomi.
Come avrete capito, non sono una di quelle donne che curano con amore il proprio aspetto. O non lo sono più da almeno due decenni. 
Però, un conto è essere un po' trasandate, un altro è spaventarsi quando per caso s'incrocia la propria immagine allo specchio: il cuore salta un battito o ne fa due in un unica soluzione, e a lungo andare le coronarie sviluppano una sofferenza che non agevola la lunga sopravvivenza.

Mi piacciono i tagli molto corti, ma non così tanto da indurre gli altri a passarmi continuamente la mano sulla testa per grattarsi il palmo.
Visto che ho deciso di affrontare, piano piano (non c'è fretta), le fobie, le paturnie, le idiosincrasie e la loro sorella maggiore, cioè l'agorafobia, mi sono imposta di tornare dal parrucchiere.

In realtà è accaduto per caso. Passeggiavo, ero stanca, non si vedeva una panchina all'orizzonte e sentivo l'esordio di un attacco anginoso, proprio mentre mi trovavo davanti alla vetrina di un parrucchiere cinese: vuoto, nessuna lista d'attesa, i cinesi li trovo sempre rassicuranti.
Sono entrata e in un quarto d'ora scarso ero fuori. Nessuna chiacchiera, forbici veloci da non fare nemmeno in tempo a dire "forse un po' più lunghi...", niente piega, buttata fuori in un amen e senza gravi perdite economiche.

Inoltre, al ragazzo che da quel momento mi ha regolarmente gestito l'acconciatura, non frega nulla di lasciarmi uscire con i capelli bagnati anche se fuori tira un vento siberiano.

La scorsa settimana, però, dopo che l'ultima seduta nel negozio orientale mi aveva fatta andare in giro per un mesetto con una chioma da fare invidia a Sid Vicious (bella eh, ma mi duole ammettere che non ho più l'età), ho optato per una parrucchiera italiana.
Ho iniziato chiedendo quanto dura un taglio.
"Dipende", mi ha risposto. Il "dipende" fa sempre un brutto effetto: mette ansia, non dà modo di quantificare la durata della sofferenza e quindi la dilata.
L'ho avvisata che avrei potuto scappare a metà taglio, mi ha detto che ha sempre delle gocce di Xanax. Mi è piaciuta.

A parte il fatto che ha voluto lavarmi i capelli con l'acqua calda (alla fine, tuttavia, mi ha concesso un getto bello freddo), e che due donne sedute dietro mi osservavano (una ha tentato di attaccare bottone e non si è arresa davanti al mio mutismo),  mi sono trovata bene.
Quando mi ha vista un po' più tesa (a metà taglio, il momento peggiore) ha iniziato a canticchiare la sigla di Pippi Calzelunghe per rilassarmi, e io le sono andata dietro a ruota.
Ma ha persino concesso di andarmene con la testa bagnata; tuttavia sospetto che in pieno inverno non sarebbe altrettanto indulgente.

Insomma, finalmente ho un gran bel taglio, corto corto come piace me, ma senza reminiscenze punk.
Col senno di poi, posso affermare di aver tenuto a bada l'ansia, avvisando che avevo l'ansia.
Forse dovrei farlo più spesso. 
L'outing ti libera.





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