La rigenerazione dei sogni

Ho un amico a cui sono molto legata da una serie di affinità e discordanze che s'intersecano come pezzi di un puzzle; un puzzle molto complicato, di soggetto astratto, cinquemila pezzi piccini piccini.
Lui e io abbiamo un sogno comune che periodicamente ci regala momenti di autentico sconforto.
Non vi svelerò di quale sogno si tratta, perché è materiale di nostra esclusiva proprietà, e benché noi si sia non poco generosi, i sogni non li diamo via volentieri.

Purtroppo viviamo molto lontani, troppo persino escludendo l'agorafobia. Ma siamo vicini in virtù dei sogni, della capacità di superare orgoglio e imbarazzo nell'esprimerli, dell'empatia che ci porta a condividere i rispettivi guai, ma soprattutto nella capacità di renderli più tollerabili grazie a quella benedizione divina che è il senso dell'umorismo.

E arrivo al punto. Da qualche tempo il nostro sogno ha preso una strada che pare senza uscita. Cioè, un'uscita bene o male c'è sempre, ma quando si tratta di superare un ideale montagnola alta e impervia come l'Everest, ci manca l'attrezzatura adatta; diciamo anche che in una cordata, io sarei quella che resta perennemente appesa a oscillare nel vuoto, sgambettando come una tartaruga rovesciata (a me affine anche per agilità e rapidità di movimento).

Ieri, noi due, stavamo pensando all'opportunità di crearci un nuovo sogno o smettere di abbarbicarci in desideri utopistici o meno. E' una faccenda a cui penso spesso, ma lui è stato più veloce a dirlo (perché non è una tartaruga):
"svegliarmi la mattina senza avere un sogno toglie senso alla mia vita, ma la mia vita appesa a un sogno mi sembra irrimediabilmente insensata".

Non so voi, ma io ritengo che questa frase batta di gran lunga l'intera produzione di Osho e di altri "saggi" individui che quotidianamente percorrono il red carpet dei social.
Ma il mio amico è uno scrittore, uno dei migliori che io abbia avuto il piacere di leggere nella mia vita. E un bravo scrittore produce perle anche chiacchierando online.

Smettere di sognare, vivere la propria realtà senza illusioni, il "qui e ora", allontanare ogni brama, sono la base di filosofie illuminate e dovrebbero condurre alla serenità. La serenità ci serve; oh se ne abbiamo bisogno.
Ma noi tutti siamo illuminati? Personalmente vivo con la mente immersa nella nebbia, c'è ben poca luce. E per alzarmi ho bisogno di un sogno, di qualcosa per cui valga la pena anche sprecare le misere energie che ho in corpo.

Così, si è pensato di generare sogni con maggiori probabilità di realizzazione. 
Per quel che mi riguarda (i suoi non li cito, ho già violato la sua privacy riportando la sua frase, e spero che mi perdonerà) ho stilato un elenco.
Al primo posto c'è una casetta e un roseto. Adoro le rose, a dire il vero mi piacciono tutti i fiori (non recisi; vederli languire in un vaso mette tristezza) e le piante... ma le rose. E nel sogno invito le amiche e gli amici, anche e soprattutto quelli che vivono molto lontani, a prendere un tè con biscottini in mezzo a quelle meraviglie. Mi piacerebbe ospitare pure semplici passanti bisognosi di un momento di relax e di raccontare qualcosa) (li si riconosce facilmente, perlopiù si tratta di persone anziane che portano a spasso il cagnolino o che camminano con le mani giunte sul nervo sciatico).

Non è facile nemmeno questo, ma ci si lavora.
Intanto coltivo speranza sul mio balcone e vi regalo la foto della sorpresa ricevuta dalla pianta di goji tibetano, coccolata e curata con amore, che nella poco ridente periferia di Torino è cresciuta fregandosene del panorama. Più o meno come faccio io.


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