Arriva il peggio e...

Ognuno di noi ha nella propria testolina paranoica un preciso scenario che prega costantemente di non dover mai vivere.
Personalmente ho sempre avuto timore della malattia (grave, ovviamente) di una persona cara, di dovermene prendere cura e di non esserne in grado per motivi che vanno dalla A di assente mentalmente alla Z di zampogna in luogo del cervello.
Inoltre, se mi foste stati attenti invece di distrarvi dietro le prime farfalline (che sono tarme del cibo,  sappiatelo; fa ancora troppo freddo per i lepidotteri affascinanti), ricordereste che la madre di tutte le mie fobie è costituita dagli ospedali. 

Mi è sempre bastato passarci accanto per paralizzarmi; e poi muovermi solo per il terrore d'essere ricoverata senza poter porre una degna (e discretamente violenta) resistenza. 
Ho sempre giurato a me stessa che sarei perita dignitosamente (o anche in modo indecoroso, fa lo stesso) tra le mura di casa mia,  che poi è l'unico luogo a parermi sopportabile. 
Però c'è che sono figlia unica,  vivo sola (ad eccezione dei gatti che, nel caso specifico non sanno rendersi fattivamente utili), non ho parenti utili anche solo una tacca meno dei gatti (che almeno fanno le fusa e sono felici di vederti).
Capita quindi che i genitori si ammalino in rapida successione e anche in modo grave.
Quindi?

Quindi sono in ospedale da giorni. Non importa se c'è il lavoro, l'agorafobia, l'empatia straziante (che tendo a tacitare a suon di schiaffoni), il dolore allo stato puro nel vedere persone ridotte in un modo che non augureresti nemmeno al padrone di casa (che, nel mio caso, è un po' stronzo. Toglierei il "po'" ma non intendo assumermene la responsabilità in sede civile o penale).
Ecco, vedete che parlando con voi mi si chiariscono anche le idee? Tra le altre cose ho sempre tentato d fare lo slalom tra le responsabilità,  motivo per cui non mi sono mai sposata (beh, ci sarebbero anche alcune mie caratteristiche caratteriali che hanno fatto fuggire come furetti quei poveracci che capitavano sulla mia strada, ma non siamo qui per abbandonarci a recriminazioni).

Dicevo, sono qui. Ho trascorso giornate al pronto soccorso nel bel mezzo dell'emergenza influenza. .. che non c'era nemmeno lo spazio per svenire tra le barelle. Ora vengo ogni mattina in reparto... con ritardo perché mi perdo tra i lunghi corridoi che puzzano d'ospedale (ma ci fosse una volta che azzecco per puro caso la direzione giusta), vado a fare code infinite in un bar che puzza d'ospedale pure lui,  chiacchiero con un germi consentendogli di fare di me ciò che desiderano. 

E... non ho ancora avuto un attacco di panico. Persino l'ipocondria mi lascia in pace, nonostante la fibrillazione atriale che mi porterà alla morte improvvisa (in alcuni momenti me la auguro, ma sottovoce, non vorrei mi prendesse in parola). 
E' che temo di non avere spazio per queste cose.

Voi riuscite a capire la natura di questo fenomeno? Io onestamente no. Immagino che appena calerà la tensione io mi sbriciolerò come una statuetta d'argilla made in China spedita per posta ordinaria, e forse non potrò evitare un soggiorno nel reparto psichiatrico. 
So che la vicinanza degli amici è preziosa come mai prima d'ora... cioè, per capirci, la mia mamma alternativa (detta mammut) si fa le sere e le notti qui su questa sedia, Il papà alternativo mi bussa per allungarmi la cena che, a forza d'insistere, mi sono convinta a mangiare persino con piacere (cucina proprio bene).
A casa tento di lavorare con pessimi risultati (eh, vivo sola con gatti che, anche dal punto di vista lavorativo, lasciano parecchio a desiderare, ma ripagano in affetto... già detto).
Semplicemente mi concentro sul momento.
Certo che sono consapevole di parlare ad alta voce da sola nei corridoi, nelle sale d'attesa, ovunque ci sia gente. Così come so di travestire mentalmente da Topolino e Minnie tutta quella ressa di gente in camice bianco, verde, eccetera.
E fisso inebetita il cartello con scritto "stanza del silenzio" chiedendomi che cazzo sia.



La difficoltà a camminare è sparita, non conto più i passi, ma ho dolori a ogni muscolo... perché la mente si sforza di far finta di niente, ma manda messaggi niente male, dei whatsapp insistenti ed eterni.

La paura del dolore altrui è in un angolino, le ho spento la luce e la tirerò fuori quando non sarà più indispensabile muoversi e pensare a cose pratiche.
Insomma, mi distraggo: in uno dei momenti peggiori ho iniziato a fissare una signora che aveva il viso da cavia cattiva... poi ho riflettuto per una mezzora sul fatto che le cavie non hanno mai il muso cattivo (nel frattempo ho annotato i tratti somatici della donna in questione per usarli, casomai, in un futuro romanzo).
Nei momenti di quiete leggo i romanzi di Alice Basso, e la benedico per la sua capacità distraente dalle brutture della vita. Poi mi fumo una sigaretta nel cortile invaso da ignari e giulivi merli e scoiattoli, e il panorama mi pare persino bello.

E mi addormento in auto al semaforo, ma se è rosso ci sta.

Commenti

  1. 1. Ho imparato un nuovo modo di dire (cercato su Google, lo ammetto).
    2. Sto iniziando seriamente a vacillare.
    3. Grazie mille Anonimo... ora mi sto ripetendo "tieni botta".

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