Le mie feste

Trascorrerò Pasqua e il relativo diminutivo in compagnia di gente dalla mente obnubilata da malattie varie ed eventuali.
Non me faccio un cruccio, considerando che una delle conversazioni più brillanti degli ultimi tempi l'ho intrattenuta con una donna in stato catatonico... secondo l'augusto parere dei medici che a volte, lasciatemelo dire, tendono a una certa superficialità diagnostica.

Ho già acquistato ovetti di cioccolata (quella buona) per le operatrici sanitarie, che in questi mesi mi hanno insegnato una lezione preziosa: fuori di qui bisogna ripulirsi la mente da ciò che si vede e si sente, bisogna dimenticare che la vita è anche questa.
Loro ci riescono bene per via dell'esperienza, io sto cercando d'imparare e sono lenta come sempre.

Sì, c'è la signora che si mangia la tovaglia appena la si lascia fare, un'altra che piange senza sosta lamentando di voler tornare a casa sua, e c'è la figlia di una donna dall'aspetto nipponico (è bellissima, ci s'incanta a guardarla, e non se ne risente perché ti fissa con la stessa muta intensità) con gli occhi perennemente lucidi di dolore.
Ma c'è anche il novantenne che ogni giorno va a pranzare con la moglie, e si parlano con lo sguardo. Lui è sempre allegro e vivace, ce ne andiamo insieme e nel parcheggio chiacchieriamo della primavera ballerina e del fatto che io dovrei mangiare di più, fare lunghe camminate e smettere di fare un saltino ogni volta che mi suona il telefonino (se n'è accorto prima di me, che con quarant'anni in meno ho le sinapsi veloci come un bradipo).

Ho conosciuto persone interessanti in questi tre mesi. Persone fortificate dalle avversità. Nessuno si lamenta. Entriamo tutti con l'aria imbronciata e alla seconda porta indossiamo il sorriso dell'inconsapevolezza... che è un sorriso strano, che tira su tutti i muscoli e ti fa camminare con spalle dritte e passo deciso.
A volte mi porto dietro il panico: vuole venire a tutti i costi, eppure gliel'ho detto che starebbe meglio a casa... c'è niente da fare, è testardo e anche un po' masochista (oltre ad essere il bastardo di sempre, c'è da dirlo).

Ora ho tirato fuori dei jeans e una camicia colorata, perché lì il nero che mi piace tanto non fa bella figura. Pensavo anche a una sciarpetta carina, ma dicono che è pericoloso dimenticarla nei paraggi, come qualsiasi altro accessorio con cui ci si possa appendere alle sbarre del letto.

Ovvio, non ho mai pensato che un giorno sarei finita a fare il pranzo di Pasqua (ma nemmeno di Natale o del primo dell'anno, se è per questo) in mezzo a esseri più squilibrati di me.
E qui arrivo al punto: una vita trascorsa nel terrore di scivolare nella follia per poi scoprire che lì in mezzo il mio equilibrio si assesta.
Non nascondo che, quando esco, dopo la chiacchierata nel parcheggio con il novantenne ricco d'energia, inizio a confondermi un po' e l'auto mi porta in zone di Torino mai viste prima.
Ma mentre mi perdo, mi ritrovo un po' e faccio tappa in un bar per un panino... perché bisogna mangiare di più.

La vita, a volte, è proprio un po' puttana. Ma è vita finché si respira e allora tanto vale buttare un occhio al cielo e "ripulirsi la mente", come consigliano le OS.
Quando ho scritto il romanzo La banda dei pensionati (non lo avete ancora letto? Male! Che diamine aspettate?) non immaginavo che le avventure surreali che raccontavo fossero acqua fresca in confronto alla realtà.
Mi sa che prima o poi, a mente meno impelagata in queste faccende, riprenderò in mano le storie dei vecchietti e tenterò di rendere surreale un mondo che lo è già di suo più che a sufficienza.

Nel frattempo, vi faccio i migliori auguri e mi aspetto che usciate a divertirvi... se vuole venire anche il panico (bastardo) portatelo pure, e ignoratelo come merita. Voi meritate di più.
Mangiate, fate lunghe passeggiate, guardate il cielo e non i piedi.
Baci.
PS Dimenticavo... si risorge, eh.


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