Psicopatologia del taglio dei capelli
Felpa (particolare) |
Diciamolo, ci sono momenti della vita in cui scatta una punta d'autolesionismo. Non a tutti, sia chiaro; tuttavia credo di non essere la sola a provare qualcosa (non so identificare la giusta emozione) che dà quell'attimo di piacere pur sapendo che ci si sta facendo del male.
Non sto parlando di dolore fisico, a quel punto non ci sono mai arrivata, ma di piccoli dispetti perpetrati ai danni di se stessi.
Ho un esempio fresco di giornata e lo condivido con piacere con voi. Mi piacerebbe stare tutti insieme a parlarne davanti a una tazza di tè e biscottini al burro... ahimè, non si può.
Finisco di pranzare e decido che, prima di rimettermi al lavoro, mi tocca uscire. L'entusiasmo che percepite dalle ultime tre parole sono dovute al fatto che l'agorafobia si è riaffacciata nella mia vita; lo sapevamo tutti, ce lo aspettavamo, sospetto che qualcuno di voi ci abbia anche scommesso sopra. C'è di positivo che per quasi 5 mesi sono stata graziata; la parte negativa è che praticamente non me sono accorta perché avevo grane che mi risucchiavano tutta l'attenzione.
Allora, torniamo al punto.
Esco con notevoli difficoltà, anche motorie. Acquisto le sigarette, mi lancio le solite accuse per una dipendenza dannosa ed esageratamente costosa, mi avvio verso casa, guardo qualche vetrina assai deprimente e vedo il negozio di un nuovo parrucchiere.
Ora, io ho una pettinatrice di fiducia (diciamo così) che, a mio parere, ha colto fin dalla prima volta l'autolesionismo latente nella mia testolina un po' fallata; lei riesce a giungere a compromessi sul taglio di capelli che sono una sana via di mezzo tra il "rapa tutto" che chiedo io e il "cerchiamo di migliorare l'aspetto" insito nella sua professionalità.
Quindi, entro dal nuovo parrucchiere: simpatico, un po' troppo esuberante di favella, con doti canore eccezionali che non esita a esibire; parte una gara di video, perché le altre clienti sono tutte fiere madri di star incomprese del rock, pop o neomelodico. A questo punto s'intrecciano sonorità varie, e l'ansia sale. Non so voi, ma a me il casino di voci e musiche agevola l'attacco di panico (anche solo le voci senza musica, e viceversa).
Inizio ad isolarmi mentalmente (sono in cima al Cervino), a controllare il respiro, e intanto il parrucchiere canterino va giù di forbice come se dovesse scolpire un'istrice in marmo con attrezzo non consono.
Risultato: sembro la nonna di Sid Vicious; capelli bianchi come la neve (perché da un annetto ho rinunciato alla tinta per pigrizia) che sparano in alto come in un momento di esaltazione mistica.
Anche sforzandosi, è difficile piacersi. Così rifletto sul fatto che sono oggettivamente contenta di sembrare più brutta; e mi accorgo che non si tratta solo dei capelli... manca qualsiasi belletto, manca una maglia carina, perché il felpone con cappuccio e mici neri sulla tasca, non è il massimo dell'eleganza.
Ma perché? Che cosa spinge ad imbruttirsi? Perché quel moto di soddisfazione?
Non lo so.
E detesto non sapere, non capire. Qui si nasconde della roba, non so se grossa o piccola comunque roba.
Orpo! Ho saltato una premessa: non è che io sia una gran bellezza; sono stata carina, per qualcuno un po' orbo lo sono ancora, quindi non si può pensare che l'avvenenza sia stata la fonte di tutti i miei guai. C'è qualcosa che mi sfugge.
Qui si tratta di non volersi bene, forse pure di odiarsi, insomma d'essere sull'orlo di una separazione per nulla consensuale.
Così ricordo che l'ultima seduta dalla psicoterapeuta risale a troppo tempo fa.
Fisso un'appuntamento e mi rimetto a lavorare con il cappuccio in testa. Casomai, vi farò sapere.
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