La gente e la via dell'eremitismo

Prima era diverso. Ero diversa io.
Non sto parlando di decenni fa, credo si tratti di una manciata di mesi; è non per via della pandemia, quella casomai mi è servita ad acquisire quella "consapevolezza" di cui molti si riempiono la bocca (lo faccio anche io, eccomi qui).
La mutazione riguarda la gente, o meglio il mio rapporto con l'umanità.



Qui è d'obbligo una premessa: questa è la mia terza vita.
Non sto parlando di karma, reincarnazione o altre cosucce carine su cui intrattenersi amichevolmente quando non c'è di meglio da pensare. No, ritengo di aver vissuto una prima vita che va dagli 0 ai 15-16 anni e che preferisco dimenticare, pur non riuscendoci; la seconda arriva ai 32 ed è stata parecchio divertente, follia permettendo; ora sto vivendo nella terza che, con benevolenza, definisco catastrofica ma interessante.
Nella prima ero affetta da timidezza patologica e diffidenza diffusa verso le persone... tutte, parenti compresi (e in alcuni casi, ho avuto modo di appurare che l'istinto non m'ingannava); insomma, ero una bimba e poi un'adolescente solitaria come la tenia, a cui somigliavo anche per conformazione fisica. 
Poi, forse a causa di una lieve ischemia non rilevabile con gli strumenti diagnostici di base, le sinapsi si sono scatenate e sono diventata un animale sociale; persino troppo: a parte il matrimonio e la convivenza, ho sperimentato tutte le forme di aggregazione possibili (beh, niente orgie, ma la promiscuità sessuale mi ha sempre confusa, sarà che fatico a riconoscere i volti delle persone, figuriamoci il resto).
Infine sono tornata a una vita discretamente solitaria, con amici che pazientemente mi lasciano i miei spazi, i libri, i gatti, la TV, l'uncinetto, i videogiochi e le parole crociate (a volte il sudoku).

Il punto è che nella terza vita c'era un sincero affetto verso gli altri.
La gente mi piaceva; ne stavo distante, diciamo che la osservavo da lontano, tuttavia mi suscitava moti d'incondizionato amore.
E' che coltivavo la pazienza con la dedizione con cui curo le mie orchidee... sì, ho sviluppato un'incomprensibile quanto folgorante passione per queste piante che richiedono una vigilanza continua che, a lungo andare, genera un briciolo d'ansia.
Ora continuo ad osservare le persone, le fisso con aria inebetita, ne faccio personaggi da romanzo, ma le mando a fanculo con un ritmo da catena di montaggio.

A mia difesa posso giurare che non attacco a random come uno squalo affamato, tuttavia scorgo nella maggior parte della gente sfumature che non tollero (e che è possibile non gli appartengano, il dubbio c'è sempre... vivo di dubbi), e invece di allontanare le impressioni sgradevoli con una scrollata di spalle, parte un profluvio di insulti che perlopiù sottendono a giudizi o pregiudizi che tenderei a spiegare con un'altra ischemia, questa volta d'intensità rilevabile anche da un sismografo. Riassumendo: non concedo più il beneficio d'inventario.

Vedo ipocrisia, allegra esibizione d'ignoranza, menefreghismo, saccenza, prepotenza, imbecillità dilagante, avidità, meschinità a iosa... per il resto tutto bene.
Sia chiaro, non mi ritengo un essere dall'intelligenza superiore, anzi, per la maggior parte del tempo ho la sensazione che il mio QI sia paragonabile a quello di una blatta (che comunque stupida non è), e non sono totalmente immune dai difetti di cui sopra, uno o due li pratico con costanza, ma mi ci sono dovuta esercitare per un certo numero d'anni, così, tanto per adeguarmi.

E allora mi chiudo. 
Seppur con pudore e una punta di dispiacere, devo confessarvi che il periodo del lockdown sarebbe stato il mio paese dei balocchi, se non fosse stato per i lutti, l'assenza di lavoro e quindi di stipendio, la difficoltà a procurarmi il cibo e il fatto che sono stata costretta a stare più fuori che dentro (il record personale di permanenza fuori casa degli ultimi vent'anni). Le strade deserte, la mancanza di contatti, mi hanno regalato una quiete che bramavo da tempo. Ed ecco la "consapevolezza" di cui parlavo all'inizio.

Dicevo che mi chiuso sempre più. 
Ma c'è la fregatura, perché in fondo fa comodo avere un alibi da esibire in luogo dell'agorafobia, quindi appurare che nessuno merita la mia presenza dà un salutare sollievo... 
Mi sto allenando alla misantropia come se fosse una specialità olimpica e ambissi alla medaglia d'oro, ma arriva di continuo qualcuno che mi rovina il lavoro: è che pur uscendo poco, perlopiù per dare del demente a qualcuno (non si fatica a trovare il soggetto giusto, basta fare una coda alla posta, per fare un esempio), incontro persone meravigliose, "pulite" (che bello esserlo dentro!), generose, che si preoccupano per gli altri, che si fidano di me senza conoscermi. 
Il rischio è lasciarsi contagiare e non c'è mascherina che protegga da un cuore bello, così come da un'animo cattivo. In quest'ultimo caso, tuttavia, un vaffanculo non guarirà, ma di certo dona un enorme sollievo.

Nel frattempo, attendo la mia quarta vita.

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