Qual è una vita normale?

Foto di Xusenru

Piano piano si ritorna a una vita normale.
Lo sento ripetere con effetto eco, e quando me lo dicono, se è una giornata buona, esibisco entusiasmo.
Un entusiasmo falso, ma a volte le bugie sono necessarie perché fanno del bene.
Però, ogni volta, mi chiedo cos'è, qual è una vita normale. Poi, per amor di paranoia, parte la piramide di domande collegate: chi è normale? Chi ha fissato i parametri della normalità? E costui, chiunque fosse, era normale?

La normalità è un concetto che mi turba da sempre; mi perseguita fin dall'infanzia, quando sentivo frasi tipo "questa bambina non è tanto normale". Ecco, anche qui, la normalità ha sfumature o è un assoluto? Se esiste una formula, uno schema, un accidente di regola che determina cosa è normale e cosa non lo è, come si può essere tanto o poco normali?
Cercando sul vocabolario Treccani il significato della parola "normalità", ed escludendo le accezioni geometriche e giuridiche, la definizione è questa:
Che segue la norma, conforme alla norma, quindi consueto, ordinario, regolare, e sim.: fare uso ndi qualche cosaritornare alle condizioni ndi salutepolso n.; temperatura n.; un uomo perfettamente n., con allusione a condizioni e funzioni fisiche o psichiche (con quest’ultimo sign., spesso per litote in espressioni negative: non mi sembra un uomo n. o del tutto n., e sim.). 
Ora desidero, anzi bramo, sapere dove si trova il libretto d'istruzioni, il manuale con l'elenco delle norme a cui devo conformarmi. Non c'è? Tocca guardare cosa fanno e come si comportano gli altri? E chi mi dice che gli altri che guardo siano normali? Forse vince la maggioranza, dal che evinco che se mi trovo in un ospedale psichiatrico, la normalità è quella dei pazienti e quindi, per dire, posso tranquillamente aggirarmi con un pitale in testa senza destare sospetti; senonché (si può scrivere sia attaccato sia staccato, tranquilli) quando esco per strada con il mio vaso da notte calcato sulla testa, un'altra maggioranza decreta che sono pazza, quindi anormale.

Attenzione, questo non è un argomento su cui scherzare; fino a pochi decenni fa, una persona come me sarebbe finita con cavi elettrici sulle tempie in un amen, giudicata per direttissima e condannata a fare la lampadina umana.

Uno degli psichiatri che frequentai in passato (lo so, già il fatto di andare dallo psichiatra dovrebbe essere un indizio utile), mi disse che dovevo iniziare a condurre una vita normale, ossia trovarmi un lavoro stabile, piantarla con la storia dell'eremitismo, mangiare-dormire-forse andare di corpo ad orari precisi e regolari, magari farmi una famiglia e scodellare un paio di pargoli (che normali non sarebbero stati, pensai). Risposi che non sarei più stata io e, nonostante vivessi un profondo malessere, non me la sentivo di rinunciare a me stessa. Mi guardò con occhi bovini e si limitò a dirmi che probabilmente preferivo adattarmi a una vita votata alla sofferenza. Ricordo di averci riflettuto parecchio e poi di aver deciso di troncare ogni rapporto con gli psichiatri.

Tuttavia, ho avuto modo di conoscere uno specialista, a mio parere molto illuminato, che un giorno mi ha spiegato il suo approccio clinico con i pazienti: "Se tu vedi la Madonna o sei convinta d'essere periodicamente rapita dagli alieni ma la cosa non ti turba, non hai bisogno di me; se invece ti angoscia e dissesta la tua esistenza, hai bisogno di me". Questa mi parve una soluzione coerente, che dava una lettura più ampia del concetto di normalità.
E' normale ciò che ti fa stare bene? Beh, se non fai del male agli altri, perché no. Mi piace.

Tornando all'inizio, e cercando di mettere un punto a questa tirata che sta diventando eterna, personalmente la fine del lockdown non ha cambiato nulla nella mia quotidianità, a parte l'uso di mascherina le volte in cui esco. Sì, ovvio, ora pare più normale (e ci risiamo) che svolga la maggior parte del mio lavoro a casa, ma da qui a entusiasmarsi ci passa in mezzo l'Atlantico.
Avrei ancora un sacco di cose da dire, ma mi rendo conto d'aver scritto di getto un mucchio di cose probabilmente insensate per la maggior parte di chi legge (o forse per tutti, perché c'è la possibilità che io non sia normale); allora concludo con una frase di Douglas Adams che amo molto: Ripristineremo la normalità appena saremo sicuri di cosa sia in ogni caso normale, grazie.

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