Guardiamoci negli occhi!


Lisbeth
 L'uso della mascherina ha certamente innescato una serie di disagi. 
Non sto parlando di quanto possa essere o meno faticoso respirare o degli occhiali che si appannano (quello degli occhiali, effettivamente è un tema su cui ci potremmo lamentare a lungo); sto cercando di comprendere l'impatto psicologico di qualcosa a cui non eravamo abituati, a meno di non svolgere professioni che prevedano l'uso di tale dispositivo.

Ho iniziato a doverla indossare (ed era un dovere che non ammetteva ribellioni) mentre ero ricoverata in ospedale, nel periodo coincidente con l'inizio del lockdown: ci dovevo convivere anche di notte e mi era consentito toglierla soltanto durante i pasti e quando mi lavavo faccia e denti. Sapevo che era un elemento fondamentale per difendermi da un attacco esterno, quindi non stavo a ragionarci sopra; ciò che mi turbava era vedere attorno a me solo volti sconosciuti con l'aggiunta di non poterne scorgere, memorizzare, interpretare, i connotati dal naso in giù. Ad oggi ho memoria di un'infermiera che amerei rivedere e ringraziare per essermi stata "amica" e ho la certezza di non saperla riconoscere (fa tristezza).

Poi ci sono state le file davanti ai negozi, le rapide incursioni nei supermercati ed è lì che, dopo un soddisfacente periodo di quiete, mi è piombato tra capo e collo un erculeo attacco di panico. Ero impegnata a vagliare il grado di soddisfazione che poteva derivarmi dai Pavesini al cacao rispetto a quelli classici, ho alzato lo sguardo e le poche persone che circolavano tra gli scaffali erano irriconoscibili.

Niente biscotti, c'era materiale più urgente da analizzare. 
Il fatto è che durante il panico analizzi niente, a parte la possibilità, che sul momento pare concreta, di morire nel reparto "merenda e dolci"... che suggerisce qualcosa di poetico e delicato, ma non fa piacere ugualmente.

Scappare, attaccare o fingermi morta? Ho imparato ad attendere che passi, per poi tentare di capire. Abbracciata al carrello, mi sono resa conto che la scena scatenante ansia aveva qualcosa di famigliare, mi ricordava un film o un telefilm o un libro di fantascienza o un incubo da eccessiva ingestione di cibo. Gente senza volto mi passava davanti, anche le mani nascoste in guanti di lattice facevano pensare a robot piuttosto che a manichini.

Osservo molto le persone, da sempre: è un misto di curiosità e controllo verso chi mi circonda. La parte del controllo veniva a cadere, ed ecco il panico.

Con il tempo, stiamo iniziando ad abituarci, ma resta l'incognita della bocca: la persona che ho davanti starà sorridendo? Farà una smorfia di disapprovazione? Piegherà le labbra in un ghigno sarcastico?

Una vita fa ero un'appassionata giocatrice di carte, amavo molto il poker ed ho avuto modo di conoscere professionisti: gente che restava talmente impassibile da chiedermi se era il caso di effettuare un massaggio cardiaco. Alcuni di loro, però, indossavano occhiali da sole e, quando il poker arrivò in tv, qualcuno pensò di proibirli perché toglievano qualcosa al gioco. 

Mentire non è affatto difficile, lo facciamo tutti in varia misura e frequenza; il difficile sta nel sapere bluffare, nel non lasciarsi scappare tic perlopiù involontari (e quindi scappano, non ci sono santi). Si riesce a mantenere statico ogni muscolo, ma gli occhi non mentono.

Stiamo quindi imparando a vedere sorrisi, smorfie, disapprovazione, bocche storte dall'espressione dello sguardo, e non è cosa da poco. Il panico sta a riposo, ma soprattutto abbiamo l'occasione di soffermarci sugli occhi ("lo specchio dell'anima", è un modo di dire coniato da non so chi, ma era qualcuno che ci vedeva lungo) delle persone.

Per tutti gli animali, è importantissimo creare un contatto visivo con la preda, con il predatore, con gli altri membri del branco, con il/la partner scelta... Noi siamo animali (che ci piaccia o meno) che hanno perso per strada la capacità di leggere gli sguardi; leggiamo le mail o le chat cercando di trovarvi le emozioni e le parole non scritte in grado di fornirci elementi utili per sapere cosa prova l'altra persona, ma le parole (soprattutto quelle senza intonazione) hanno innumerevoli chiavi di lettura; persino un insulto scritto può celare dolore, amore e un casino di altre cose belle e brutte.

Conosco una persona che ha seri problemi d'udito e che prima dell'avvento delle mascherine se la cavava brillantemente nella lettura labiale. Giorni fa mi ha detto "ora fatico a comprendere ciò che dici, ma sento meglio quello che provi".

Quanto ha ragione! 

Sul periodo che stiamo vivendo non si può dire nulla di positivo. Beh, pensiamo che stiamo imparando a guardarci negli occhi.


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