In crisi d'astinenza


 Un problemuccio di salute, che rende l'entusiastica vitalità di un organo interno incompatibile con l'assunzione di farmaci, mi sta sottoponendo alla tortura dell'allontamento dallo Xanax. E' la quinta o sesta volta che di provo.
Non ci sto rinunciando completamente, altrimenti non sarei qui a scrivere, non fosse altro che risulta complesso dedicarsi a qualsiasi attività mentre si batte la testa contro il muro; semplicemente sto tentando di ridurre (dimezzare) il consumo quotidiano.

Ora, sapete che quanto sia affezionata a quella pastiglietta rosa (o bianca, dipende dalla confezione capitata in sorte): un amore non facile, nato con pessime premesse perché tendo a rifiutare i farmaci.
Persino gli analgesici non sono praticamente mai entrati in casa mia, preferisco sopportare il dolore piuttosto che ingollare roba chimica. Inoltre, ho sempre pensato d'essere un soggetto predisposto alle dipendenze di vario genere, pur detestando le dipendenze (uno dei miei tanti controsensi); in passato ne ho soppressa con successo una abbastanza significativa e ritengo che, applicandomi con dedizione, riuscirei persino a smettere di fumare (magari non adesso, ecco; un patimento per volta, grazie).

So, perché mi è stato detto da alcuni medici, e perché è riportato persino sul foglietto illustrativo redatto dalla casa farmaceutica che poco interesse avrebbe in tal senso, che lo Xanax provoca una dipendenza un tantino più impestata rispetto alle altre sue sorelle benzodiazepine.
Non mi stupisce, quindi, di sentirmi in questo preciso momento come se corpo e mente stessero per esplodere, benché mi sia solo privata della "dose" mattutina. Ovviamente sto guardando spasmodicamente l'orologio in attesa della pastiglia pre-cena, e sospetto che cenerò alle 17 e 30.

Nella vita ho avuto la sfortuna d'incontrare una persona in fase di disintossicazione da cocaina, e non ho l'arroganza di ammettere di sentirmi nello stesso modo; ma se mi osservo con tutto il distacco emotivo di cui sono capace, vedo segnali, sintomi, chiamiamoli come ci pare, assai simili.
Sudo e ho freddo, mi tremano le mani, coltivo pensieri deprimenti, fatico a concentrarmi, sono ipercinetica (cosa per me decisamente anomala), scatto a qualsiasi minimo rumore, muscoli contratti, denti stretti fino a fare lamentare la mandibola, il cuore sta galoppando come su un toro meccanico impostato sulla massima velocità. Aggiungerei che non ho fame, sento una nausea severa e un significativo mal di testa.

Ma ovviamente, il dato più significativo, è che l'ansia sta raggiungendo i livelli di guardia e non ho simbolici sacchi di sabbia per contrastare l'imminente esondazione emotiva. E il cervello riesce ad essere, al contempo iperattivo e deficitario: un fenomeno interessante, verrebbe da studiarlo se ce ne fosse il tempo; perché qui abbiamo pure la sensazione che non ci sia abbastanza tempo per fare tutto, che scorra troppo rapidamente, seppur non abbastanza per arrivare in un soffio all'ora di cena.

Mi sto accuratamente tenendo lontana dai social per evitare di sfogare un'aggressività, che sento non appartenermi, sulla prima persona che osa fare un commento che possa lontanamente disturbarmi. E mi ritengo fortunata per il fatto che vivo sola, con gatti che si fanno i fatti i loro (perché loro percepiscono le alterazioni dell'umore, sono infastiditi dal nervosismo: se mi avvicino la coda gli si gonfia come una capigliatura anni '80).

L'ansia è una catastrofe, fin qui siamo tutti d'accordo, eppure a volte la uso per scopi creativi: non è un caso che nel momento di massima efficacia del farmaco, di solito non riesca a portare a termine un lavoro senza faticare il triplo. Voi mi direte che gli ansiolitici rallentano le capacità cognitive, e avete ragione. Tuttavia, in tempi non sospetti, quando ero una persona significativamente quieta, adottavo espedienti discutibili ma efficaci per generare uno stato ansioso in prossimità di un lavoro importante che prevedesse l'utilizzo selvaggio dell'emisfero destro del cervello. Fortuna che le droghe non mi hanno mai attratta.

Ma mentre "parlo" con voi, la mia mente mi suggerisce che anche un farmaco reperibile dietro prescrizione medica è una droga (conosco gente che ingolla antidolorifici a palate in assenza di giusta causa, cioè dolore fisico). 

Alcuni di voi mi scrivono o mi hanno scritto esponendomi dubbi e paure circa l'assunzione di psicofarmaci. Invariabilmente rispondo che non sono in grado, e non voglio, esprimere giudizi in tal senso. Quindi, ora, mi sento un po' in colpa per quanto sto scrivendo, so di confondervi con i miei continui proclami d'amore per lo Xanax e il sentimento meno idilliaco che provo adesso. E' anche vero che quelle pastigliette le assumo regolarmente da due decenni, tengono a bada le fobie, allontanano il panico (non sempre, eh) e se non fosse per questioni di salute, non mi porrei il problema sul se e quante prenderne. Ma serve consapevolezza, come in tutto: quando il farmaco mi fu prescritto la prima volta, insieme ad altre schifezze che non sto ad elencare, feci notare che il bugiardino (che a volte dice il vero) sconsigliava l'assunzione per un periodo superiore ai due mesi. Non voglio colpevolizzare il medico dell'epoca, la mia mente era talmente brasata che al posto suo avrei proposto un lungo periodo di coma farmacologico. 
Però, però, diciamo che ci ho preso gusto?


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