Mignoli e agorafobia

Non fatelo a casa!

Tempo fa mi sono fratturata un dito.
Ho sentito un crac, ho dato di stomaco, e in un amen il mignolo della mano destra è diventato buono per farci un hot dog.

Che fare? Erano tempi non sospetti, il Covid era fuori dai radar (non è vero, i ricercatori lo conoscevano da anni, ma nessuno li stava a sentire, come parlassero di UFO)... comunque, come ogni persona normale farebbe, la soluzione più sensata del problema era rivolgersi a gente competente in materia, ossia recarmi al pronto soccorso.

Persone normali! Eh, qui si presenta l'ostacolo.
Mentre gli altri uscivano, percorrevano a lunghe falcate ogni direzione del mondo esterno con persino un po' di indolenza e la noia di chi sa di poterlo fare come e quando gli pare (bizzarra la vita, vero? Mai avere certezze, ne ho fatto una regola), io mi godevo il tepore di casa. Un tepore da estate a Torino, ultimo piano, tetto non coibentato.
E' che non uscivo. Punto.
E' che solo l'idea di mettere un piede fuori casa, con l'aggravante della destinazione, mi paralizzava dentro una bolla d'ansia e di depressione; questo è. Mi ripetevo "è solo un mignolo".

Allora, ricordo di aver sacrificato due ghiaccioli per fare un panino imbottito di mignolo; presumo fossero al gusto anice, che mi fa un po' schifo, ma in quel momento avrei immolato anche limone e cola: nell'emergenza si abbandonano al loro destino le basilari esigenze dell'ego.

Perché non ho usato normalissimo ghiaccio? C'era anche quello, ma i ghiaccioli erano fondamentali per portare a termine con successo il mio progetto: era tutto calcolato, fidatevi.
L'anice si è sciolto (o sciolta? Non so) ed ha procurato l'insensibilità desiderata (mah, mica tanto); in realtà desideravo morire, ma poi mi dicevo "è solo un mignolo, fosse il pollice capirei".
Così, con uno sprezzo del dolore visto solo in Bruce Willis durante i vari Die Hard, ho raddrizzato il dito dalla posizione "artiglio di falco" a "mi spezzo ma non mi piego": ha fatto un altro crac, altra ondata di nausea e via.
Quindi, ho preso i bastoncini (ora capite il perché dei ghiaccioli? Tutto calcolato), nastro adesivo per pacchi, e ho steccato il ditino (è solo un mignolo). Infine garza - che garza non era ma la chiamiamo così per sembrare preparati - lasciando fuori in bella vista solo un pezzettino di falange, per casomai scorgere per tempo il sopraggiungere di decomposizione necrotica (sto sforando nello splatter, lo so)... pur di non uscire, pur di non andare in un ospedale, ero pronta a procedere con l'amputazione.

Dopo poco più di un mese, srotolando le bende, ho scoperto che l'ultima falange era rimasta storta.
Ora ho un mignolo (ma è solo un mignolo) un po' sghembo, in parte inadatto a compiere movimenti di flessione-estensione, abduzione e adduzione e circumduzione, che sarebbero materia sua, e che a tratti resta rigido creando imbarazzo soprattutto se indico con le dita qualcuno.

Perché vi racconto questo aneddoto? Intanto perché sono in pausa cena ma non ho fame e, di certo, non per offrirvi prove della mia follia. In modo contorto e forse sciocco, sto cercando di fare capire, a chi non soffre di agorafobia, cosa significa essere agorafobici.
Anche voi penserete "è solo un mignolo".
No, non è solo un mignolo, è la misura di un disagio che compromette ogni aspetto della vita.
E' un crac interiore che lascia soli persino quando non lo si è, e che spinge a fare cose apparentemente insensate e inspiegabili pur di non esporsi a ciò che terrorizza e paralizza.
E quando a terrorizzare è l'esterno, dentro si vive male, in una cella senza sbarre a cui aggrapparsi per darle l'attenuante della realtà, dove ci si deve ingegnare per svolgere qualsiasi attività, persino per sopravvivere.
E' una sensazione di gelo che dalla mente attraversa tutto il corpo, come se fossimo tra due enormi ghiaccioli.
Non è solo un mignolo che resta storto, è molto, molto di più.

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