Vita ingarbugliata

 Mi sento adeguatamente infelice, ma non ne farei un problema personale.

E' che la vita raramente risponde alle mie domande con un sì. Spesso non sono nemmeno dei no, ed è questo che mi turba. Il "le faremo sapere" è sempre ansiogeno, non si sa cosa aspettarsi e ovviamente si teme il peggio.

Non che io sia pessimista. Non scherzo, in linea di massima mi mantengo sempre neutra, se penso negativo è per scaramanzia e per non crearmi aspettative inutili. Ma il fatto resta che aspetto.

E allora, mentre sono seduta sulla panchina accanto a un binario, che non mi è dato sapere se sia morto o meno (oddio, non vedere altri viaggiatori in attesa dovrebbe essere un indizio rivelatore, ma non si sa mai), mi capita di riflettere.

Su cosa? Principalmente su che diavolo sto aspettando. Perché, in realtà mica ho le idee chiare; mi conosco, non benissimo ma abbastanza da comprendere che dentro c'è una grande confusione, che in passato ho voluto e ottenuto "beni" che poi non sapevo o non volevo gestire.

Le domande più difficili che mi sono state poste erano cosa di aspetti da questo lavoro, da questo progetto, da questa relazione, da questo viaggio...

Non si può fare che si vede come va e casomai si decide se prendere o lasciare? 

Le sorprese, in linea di massima, mi piacciono molto e io non so progettare. Mi è stato detto che non è cosa buona vivere alla giornata ed ho provato ad adeguarmi a regole suggerite da altri o inventate in un attimo di autodisciplina e, sospetto, di masochismo: tutta roba assai strampalata, ma rigida perché il guaio sta anche qui... mi divento rigida, inflessibile con me stessa. E mi ritrovo infelice.

Per un certo periodo ho persino programmato un orario fisso per i pasti, basandomi sull'esperienza acquisita in ospedale. Mi sono imposta di fare colazione, anche se non sono mai stata "addestrata" in tal senso, di non mangiare davanti al computer (devo ammettere che la tastiera ne ha tratto giovamento), di non rispondere al telefono in orario 19.30-20.30, di smetterla con i panini nel letto e i vari spuntini notturni, eccetera.

Così come ho iniziato ad appuntarmi tutto ciò che dovevo fare, dalle attività importanti a quelle più banali, inserendo tutto in schemi con orari di inizio e di fine. Mi aggiravo con il taccuino da Tenente Colombo e lo consultavo con un avvilimento che, perlopiù, mi conduceva sotto la trapunta per la stanchezza.

Vedete anche voi che non riesco a stare nella via di mezzo, che sarebbe quella giusta; lo diceva anche il Buddha, che di certo non era un cretino e ha macinato parecchie esperienze prima di giungere a tale conclusione.

Però c'è quel peculiare tipo d'ansia, quell'allarme costante da non so dove sto andando, cosa sto facendo e, soprattutto... Cosa voglio? Cosa mi manca? Perché avverto un retrogusto d'insoddisfazione perenne?

Non mi chiedo da molto tempo, ormai, il motivo della mancanza di regole. Questa faccenda l'ho elaborata bene, e non serviva un genio per arrivare alla risposta: non mi hanno mai insegnato ad averne, sono cresciuta senza una rotta, vele ammainate, si va dove porta l'onda. In svariate occasioni mi sono incagliata su fondi sabbiosi e sono rimasta ad attendere soccorsi senza aver lanciato un SOS, ho sbattuto violentemente contro scogli e imbarcato acqua, ma bene o male sono sempre tornata a riva (magari impiegandoci anni; non è stato piacevole). Ho raccattato qua e là schegge di informazioni comportamentali.

Quindi, comprendo anche perché, di norma, io ricerchi persone capaci d'insegnarmi qualcosa; non a caso ho prevalentemente avuto (ed ho) accanto, nella sfera amicale e sentimentale, insegnanti... non importa di quale materia. 

E' che la via la devo trovare da me, c'è nulla da fare. Posso incamerare nuove nozioni di continuo, ma nessuno potrà spiegarmi come si dovrebbe gestire la propria vita e cosa desiderare o attendersi da essa.

Magari un giorno crescerò (mentre sarò in coda per ritirare la pensione d'anzianità) e temo che imparerò l'unica cosa che mi pare sensata: smettere di farmi domande.



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