Fobia sociale / social



La fobia sociale è un disturbo interessante. Doloroso, ma interessante.

Dopo che mi fu diagnosticata l’agorafobia, ebbi modo di rifletterci e di comprendere che i medici si erano concentrati sull’effetto e non sulla causa del problema; lo feci mentre mi trovavo in un parco cittadino, discretamente ampio, era notte e mi sentivo benissimo.

Ricordai che la stessa sensazione di relax e totale assenza d’ansia l’avevo provata, all’esordio degli attacchi di panico e della autoreclusione, quando mi ritrovai su una spiaggia deserta alle 6 di mattina (il viaggio per arrivarci non fu facile).

Come sappiamo, l’esatto significato etimologico della parola agorafobia è paura della piazza.

Così, per confermare definitivamente la teoria relativa all’errore di valutazione del mio caso, una notte mi recai in piazza Vittorio (una delle piazze più grandi d’Europa): stesso effetto, fino a che non apparvero nel mio campo visivo alcuni capannelli di giovani; in quel momento l’ansia riaffiorò come Venere dalle acque, ma decisamente meno incantevole.

Con gli anni, le mie cartelle mediche continuarono (e insistono a tutt’oggi) a riportare il disturbo di agorafobia, ma io so (e lo sanno anche gli specialisti, presumo) che il problema non sono mai stati gli spazi aperti, ma la gente.

Questa si chiama fobia sociale e non ha nulla a che vedere col suolo calpestabile, ma piuttosto con chi lo calpesta.

Persino l’atavica paura degli ospedali è sfumata quando, ricoverata in periodo di lockdown, mi sono trovata in stanza singola, corridoi deserti, accesso proibito ai visitatori, silenzio interrotto solo da alcune telefonate di amici. Avverto un po’ di pudore a confessarlo, ma quei giorni sono stati per me la prima vacanza dopo molti anni,

Attenzione: cambia poco, la difficoltà ad uscire esiste, però è riferibile a chi c’è fuori e non al cosa.

Ora, la gente non mi fa paura; questo è un altro fatto. Non temo d’essere aggredita né vivo con la convinzione che le persone siano intrinsecamente cattive: non lo sono io, perché mai dovrebbero esserlo tutti gli altri? 

Tuttavia mi crea imbarazzo, ansia, persino vero e proprio fastidio. Non è bello da ammettere nemmeno con se stessi; l’uomo è un animale sociale o almeno lo era prima del distanziamento da covid.

Sono asociale? Cerco la definizione sul vocabolario: asocialità = insensibilità nei confronti delle esigenze e degli obblighi sociali.

Direi di no. Anzi, mi pare che l’ostacolo sia un’ipersensibilità a tutta questa roba.

Non dimentichiamo, comunque, che il contatto umano sta diventando sempre più agevole per chi soffre di fobia sociale. Già, ci sono i social! Si può interagire con il mondo senza alcun contatto fisico, persino mantenendo un rigoroso silenzio. Bene!

No, eh no. Andando avanti, mi accorgo che anche l’interazione virtuale mi crea disagio, come un senso di nausea che talvolta diventa fisico. A volte penso che se non fossi costretta a lavorare con internet, butterei il modem. Poi ricordo che grazie ai social ho stretto amicizie con persone ormai diventate imprescindibili per me, ho conosciuto “amici” che sono d’ispirazione.

E allora, scavando ancora un po’, scopro qual è il meccanismo che scatena il sintomo. Sarebbe lungo e noioso raccontare i vari antefatti, ma tentando di riassumere potrei dire che con gli altri finisco per interpretare un ruolo… tanti ruoli… a decine. Invidio molto chi ritiene d’essere sempre se stesso, onesto e limpido. Fatico a crederci, ma invidio ugualmente.

Essere se stessi significa anche ferire (ho appena concluso una telefonata dove so di aver amareggiato il mio interlocutore con una schietta franchezza, e mi sento uno schifo), deludere, esporre le proprie fragilità (e sono rari gli individui in grado di sopportare le debolezze altrui; si rischia l’abbandono, al quale preferisco la solitudine). Capita che per rispondere a un messaggio cerchi tra innumerevoli formule per apparire nel modo consono a chi mi scrive, sono pochissime le persone con le quali mi esprimo liberamente (e alcune mi allarmano un cicinin, mi chiedo quanto reggeranno).

A forza di cambiare maschera fatico a capire chi sono e questo mi mette un’ansia enorme. Questo sì che mi fa paura.

Tra me e me sono una persona migliore, di questo sono convinta.

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