Fuori è più bello

 Ufficio CAF: detesto quel genere di luoghi. Tocca stare seduti con in braccio faldoni di documenti e un'ansia che pesa quintali perché ho la certezza di aver dimenticato un documento fondamentale e di non capire mai completamente cosa mi si chiede. E poi, da quel genere di posti, risulta complesso scappare-

Aggiungiamo un luogo parecchio sporco. Di norma non sono schizzinosa, ma se il pavimento, che in qualche sparuto angolino rivela il suo colore bianco originale, lo si vede di una tonalità tipo polvere di ematite dislocata in modo eterogeneo, un po' inquieta... soprattutto in questo periodo.

Inoltre, il tizio che segue la mia pratica è obeso, gentilissimo ma obeso, e con il bizzarro tic di sollevare la mascherina quando ti deve parlare. Ora, a me la ciccia piace, ho sempre desiderato indossarla qua e là per raggiungere una forma più zen, ma quella tipologia di obesità, che rientra nel campo di competenza del dott. Nowzaradan, mi genera una strana agitazione.

Comunque, trascorse due ore piene a trafficare con documenti che ci sono tutti ma in forma incasinata, mentre faccio la giocoliera con borse e cartelline che non oso posare a terra, esco con l'urgenza di respirare, mangiare e scaricare l'ansia. 

Guardo l'agenda, gli impegni non mancano. Ma, ferma a un semaforo, guardo anche piazza Vittorio e il Po. E allora vado a comprarmi la coppia di tramezzini da supermercato: tonno e così tanta maionese che risulta più che plausibile che questa rientri anche come eccipiente nel materiale della confezione.


Ai Murazzi ci sono alcuni giovani sdraiati sul lastricato in riva al fiume, occhi chiusi a lasciarsi scaldare dal sole che nella fredda giornata di oggi risulta imprevedibilmente generoso.

C'è una ragazza in tuta che insegna passi di danza via web a una Paola che, mi pare di capire, ha talento per la danza come io ne ho per la scultura (nada, nothing, aliquid, etwas, niente in qualsiasi lingua). E' graziosa, mi ricorda un'amica, di cui ha persino la stessa voce.

Il mio telefono suona, trilla, vibra, lo spengo. Ho bisogno di spazi aperti (perché, per quanto i medici si ostinino a scrivere "agorafobia" sulle mie cartelle cliniche, non ho mai sofferto di questo disturbo: il termine lo hanno utilizzato per definire altro, per comodità, per non dover scrivere due righe in più; ma di questo parleremo un'altra volta).


Offro pezzi di tramezzino, sui quali tento di radunare più maionese possibile, a piccioni, gabbiano e anatre. Mi pare tutto molto bello, armonioso, e tanto tanto arioso.

Sapete che vi dico? Mi sento felice, insensatamente felice. All'infelicità penserò quando sarò tornata a casa.



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