La paralisi emozionale

Lisbeth con matita

Questo è un periodo di grane grosse, da qualsiasi parte lo si voglia guardare. Lanciate pure un argomento a caso, e io vi do la grana a tema.
Lo so che qui è sempre tutto complicato, ma ora non si scherza: gira tutto al contrario e con moto caotico, non è possibile prevedere da dove e quando arriverà il prossimo disastro. 
Le preoccupazioni sono tante e ho anche la pessima abitudine di sobbarcarmi i guai altrui. Non se ne esce.

Provo ad essere razionale, e mi spiego la sfilza di eventi degli ultimi mesi adducendo come causa scatenante il fatto che due o tre persone mi odiano tanto e le loro energie negative sono riuscite ad impossessarsi del mio essere, nonché dell'ambiente circostante. Non vi sto a raccontare quali teorie elaboro quando provo ad essere irrazionale.
Ma giusto ieri, mentre esponevo la tesi sulle devastazioni provocate dall'odio altrui a una meravigliosa bambina di nome Firyal, lei mi ha risposto che mi ama talmente tanto da compensare. I bambini, quando toccati dal dono/maledizione della sensibilità, sanno essere salvifici, almeno per una mezzora; comunque fanno un gran bene al cuore. 

La fatica, quando si è accerchiati da problemi che fioccano come una grandinata di quelle che ti bollano l'auto come se fosse passata in mezzo a una rivolta in stile USA, è mantenere una parvenza di equilibrio mentale.
Mica facile! Anche perché la tentazione è quella di dire alla mente "Vai, scatenati! Attacca! Combina tutti i danni che vuoi.".
La paura di impazzire, che molti di noi conoscono, è comunque sempre più forte del bisogno di lasciarsi andare e stare in pace accoccolati tra le braccia di una follia che sarebbe liberatoria, antistress naturale.

Però, mentre mi trovavo davanti a un medico che mi riferiva una diagnosi un po' allarmante, mi sono accorta di una cosa importante. E infatti, da un certo punto in poi non l'ho più ascoltato perché ero presa da una seduta di autoanalisi organizzata da neuroni, sinapsi e altri ospiti che conosco di vista ma non ci siamo mai formalmente presentati.
Ho colto che da un paio d'anni reagisco alle cattive notizie con una sorta di paralisi emozionale (così l'ho definita sul momento): resto impassibile dentro e fuori.
E attenzione, reagisco così mica solo davanti alle cose brutte... no, no, anche gli eventi assai positivi non riescono a generare in me la reazione adeguata.

Vi dirò: non è male, si risparmia in ansiolitici, il panico fatica a riemergere dal suo abisso di aberrazioni (lo si sente urlare "uomo in mare" e si resta impassibile, quindi s'inabissa per un altro po'). Però non è normale, mi chiedo se finirò per adeguarmi alle leggi della robotica formulate da Asimov.

Ne ho parlato con amici che in questo periodo vengono a trascorrere serate in mia compagnia. Tutti mi hanno consigliato "Fregatene! Se stai bene così, smetti di masturbarti il cervello e di rompere le balle": ho amici tanto saggi e amorevoli, lo so.
Ma andando a fondo, fino a raggiungere il fondo di quell'abisso in cui si rintana il panico, capisco che la paralisi emozionale nasconde uranio arricchito: si rischia un disastro nucleare.

Mi dico che devo riprendere a scrivere, fare esplodere la bomba sulla carta, in silenzio, nessuno si accorge di nulla, nessun danno a cose o persone. Mi dico che quel romanzo nel quale aggiungo continuamente personaggi e informazioni, di cui ho già lavorato a quattro stesure e nessuna mi soddisfa, è un modo perverso per stare ferma nella paralisi.
Trovo l'alibi dello stress, della salute precaria, del caos che mi circonda.

Alibi, appunto.

Se Margherita Hack ha scritto la tesi sulle Cefeidi mentre i soldati tedeschi facevano saltare i ponti della sua città, io posso almeno cercare di finire il mio romanzo mentre mi saltano i nervi e non ci sono tedeschi nei paraggi. Bè, lei era una donna straordinaria, uno dei pochi personaggi che ho elevato a mito. Tuttavia i miti a questo servono: a ispirare. Oggi, peraltro cade l'anniversario della sua nascita, qualcosa vorrà pur dire.

Vi saluto, mi armo di quadernone e matita (forse ve l'ho già detto che la mia gatta ruba le matite dalla scrivania e me le porta ovunque io sia nella casa; preferibilmente nel letto. Anche questo qualcosa vorrà dire).
E allora oggi, dopo un sonnellino perché stanotte ho dormito niente, si scrive.
Probabile che smantellando la paralisi emotiva mi salirà un'ansia da concorso; ma c'è il caso che ne esce un buon lavoro. Chissà.

Buon fine settimana e state sereni.

Commenti

  1. Vedo con sommo piacere che stai scoprendo la stoica epicurea che si nasconde in te. Solo l'atarassia può salvarci. ἐποχή!

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    1. Renato, la sto scoprendo ma mi piace per niente. E' gelida, non è reale atarassia. Dove sono serenità e tranquillità d'animo? Mi manca qualche passaggio... o devo aumentare il dosaggio di ansiolitici :-)

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  2. Vedo con sommo piacere che stai scoprendo la stoica epicurea che si nasconde in te. Solo l'atarassia può salvarci. ἐποχή!

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