Gioco, emoji e autoanalisi

 

Secondo lo psicologo sociale Michael Argyle in una comunicazione faccia a faccia utilizziamo: espressione facciale, contatto visivo, gesticolazione, postura, tatto e comportamento spaziale o prossemica.

L’aspetto verbale (parole) incide solo per il 7% sulla reale natura del messaggio. 

Non è di questo che desidero parlarvi oggi, ma è utile per capire qualcosa nel casino che ho in testa e che giro paro paro a voi.

Ci sono notti (molte) in cui non riesco a dormire nemmeno un’ora.

Diciamo che in mondo ideale, che sostanzialmente sarebbe quello in cui posso concedermi di fare ciò che mi pare, andrei a dormire all’alba per svegliarmi poco prima del tramonto; oppure sceglierei di abitare in un luogo con meno impedimenti al sonno, ma di questo vi parlerò un’altra volta perché l’argomento di oggi non è nemmeno l’insonnia e le sue cause ambientali.

Di notte, quindi, svolgo numerose attività: leggo, scrivo, carico la lavatrice, cerco cose perse nel caos che mi circonda, guardo il cielo (quando il clima è più mite, anche se la stellata di qualche notte fa non la vedevo da anni), studio, vado a fare passeggiate o guido per la città pregando d’essere scansata da autisti ubriachi, fumo troppo e gioco.

Giocare mi è sempre piaciuto e mi ci dedico con la massima concentrazione (e qui, se anche c’è una parvenza di sonno, la si spazza via). Sul web, di notte, incontro sempre giocatori che vivono nell’altro emisfero e non nego che, a volte, mi scappi qualche commento un filino razzista (tanto non mi possono sentire)… ad esempio, quando mi trovo in un tavolo composto da messicani che ci mettono una vita a scartare l’unica tessera che gli è rimasta, capita che dica allo schermo “eccoli! Tutti sotto il sombrero a fare la siesta”; non è bello, lo so, ma se può essere un’attenuante vi confermo che insulto con luoghi comuni anche gli italiani.

La scorsa notte, mi sono accorta di un fenomeno che mi ha fatto riflettere sul tipo di persona che sono e su quanto, nonostante il monte ore impressionante di lezioni che la vita mi ha impartite, io abbia ancora imparato pochissimo.

Durante le partite a Domino – dove, mi spiace peccare d’immodestia ma sono quasi imbattibile - di solito gioco le partite doppie (cioè, con quattro giocatori; io mi ritrovo sempre in coppia con messicani lentissimi, non si scappa); ma certe notti opto per il singolare e lì esce la mia vera natura.

Tra giocatori si può comunicare solo attraverso emoticon, e di solito gli altri sbeffeggiano, ti ridono in faccia o comunque tentano di distrarti con una sfilza di facce antipatiche. Resto concentrata, sul pezzo, sono una professionista. Però, capita, che qualcuno che sto stracciando senza pietà, costituendo una seria minaccia per la sua autostima, inizi a mettere faccine con la lacrimuccia (sono quasi sempre uomini e li immagino feriti nella loro mascolinità; l’ho già detto che se vedo piangere un uomo mi si arrovellano le budella e spanano le coronarie? È un fatto).

Allora li lascio vincere. E loro cosa fanno? A fine partita mi sparano una mitragliata di facce che esprimono l’irrisione alla massima potenza. Ora, se mi fosse accaduto una volta sola avrei qualche attenuante, ma no… insisto!

Così ho fatto caso alla reiterazione del mio comportamento non solo nel gioco. Sia chiaro, sono una persona estremamente diffidente, eppure mi sono fatta fregare una quantità di volte ben sapendo, fin dall’inizio, che avevo davanti gente falsa (individuo le bugie persino meglio di come gioco a Domino, è un talento che ho fin da bambina e su cui fanno affidamento anche altri; vogliamo parlare delle amiche che mi presentano i loro compagni per cogliere eventuali misfatti? No, è abbastanza noioso). Certo, la comunicazione digitale rende molto più difficile capire il carattere di una persona, per la questione di cui all’inizio (esacerbata dalla scrittura… ne parleremo, prometto; è molto interessante), ma solo dalle foto profilo si possono ricavare utili indizi, fateci caso

Vorrei dire che sono buona, ma mi racconterei una bella buglia. La realtà è che sono imbecille, mi piace fare contenti gli altri a discapito della mia contentezza: non che vincere una partita mi entusiasmi un granché, è un altro fatto; ma mi piace vedere gente felice. Quest’ultimo punto mi rende ancora più imbecille, perché la prassi della società attuale (e probabilmente anche di quelle precedenti) è azzannare al collo chiunque, scaricare le proprie frustrazioni ferendo, anche solo un pochino, gli altri.

Lo sapete i tipi un po’ perfidelli (che possiamo anche definire filibustieri o, più prosaicamente “stronzi”), raramente soffrono d’ansia o di attacchi di panico o di depressione, vero? Ma, vi chiedo, questo tipo di atteggiamento si può imparare? E come?

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