Attacco di panico in luogo di supermercato
Ed eccolo l’attacco di panico, il primo dell’anno. È pronto per la sua letio migistralis, ha da insegnarmi molte cose sulla vita e su di me.
“Tesoro,
dov’eri stato? Ti aspettavo”, gli dico con un sorriso che mi costa fatica
perché la bocca pare paralizzata da quel terrore che ferma tutto per qualche
minuto o per molti minuti, ancora non so.
Lui
vacilla, lo sento. Ma sappiamo che è più forte, che per quanto io abbia
imparato a combatterlo non riesco ancora a sconfiggerlo.
“Io
devo fare la spesa. Con te o senza di te io farò la spesa. Se solo mi
permettessi di muovere le gambe non dovremmo stazionare nel reparto
ortofrutticolo a fissare una marea inespressiva di vegetali”.
Manda
scariche di adrenalina. Che sia alfabeto morse?
C’è
quella canzone in sottofondo e cerco di non ascoltarla, mi tapperei le orecchie
se solo riuscissi a muovermi. Mi ha concesso quasi tre mesi di quiete, perché
proprio ora? Voglio solo comprare le carote, gli asparagi surgelati e una pizza
da mettere in forno stasera (con sopra gli asparagi). Non sto facendo nulla di
male.
Sì,
lo so, il supermercato è grande e c’è tanta gente, ma l’avevo già superata
questa fobia.
Mi
siedo a terra, gambe incrociate e occhi chiusi. Ce ne freghiamo se la gente ci
guarda? Sì, ormai ce ne freghiamo sempre e comunque, perché “ciò che importa è
che tu te ne vada. Prendi una persona a caso tra queste, magari qualcuno che
non è solo, che può ricevere una parola d’incoraggiamento, e vai a tormentarlo…
mi dispiace per lui, ma sto imparando a diventare egoista”.
Se
solo quella canzone non continuasse a risuonarmi nella testa, anche ora che trasmettono
un brano persino allegro.
Con
il cuore che non segue il ritmo della musica, perché è un cuore punk, mi
concentro su quel casino di immagini che si susseguono nella mente. Ma quante
ne può contenere? Mi sembrano troppe per stare in uno spazio non infinito. Dio,
quanto vorrei strapparmi la mascherina! Non riesco a respirare.
Lo
Xanax l’ho preso, perché non ferma il film che sono costretta a guardare contro
la mia volontà.
“Cosa
vedi? Ci ho lavorato parecchio per trovare, scegliere e unire ogni fotogramma?”.
Lo sento, il panico cerca attenzioni come un bimbo ignorato troppo a lungo; come
quando un padre torna a casa dopo un’intera giornata trascorsa fuori. Papà,
guardami!
Ok,
lo guardo, tanto qui a terra sto comoda; e vero che un tizio mi è venuto
addosso con il carrello e ha bofonchiato qualcosa di astioso, ma se non arriva
qualcuno a prendermi in braccio e portarmi fuori, io resto qui finché non
passa.
La
pellicola mi propone immagini di un amico su una moto, sigaretta tra le labbra
e occhi vivaci… anche lui era malato, come me, peggio di me, con i suoi periodi
di depressione intervallati da brevi pause d’euforia. Lo chiamavo di notte: “ho
paura d’impazzire”. “Sei già pazza! E allora, che c’è di male?”. Parliamo
ancora un po’. No. Stop. Lui non c’è più. Sento sulla guancia una goccia tiepida
che fugge verso il basso.
Oh,
ecco. C’è una stanza d’ospedale con una donna che si agita nel letto e mi
guarda con occhi folli, urlandomi, implorandomi di farla morire. Cazzo, mi
verrà un infarto se continuo a guardare questo film.
“Panico,
sei contento? Almeno togli l’audio, bastardo!”.
Mi
alzo e decido che continuerò a fare la spesa, al massimo tracollerò in mezzo ai
surgelati: il freddo fa bene alla pelle.
Barcollo
un po’. Fortuna che calzo gli anfibi: sono pesanti, duri, quelli mi tengono con
i piedi per terra.
Parlo
da sola dentro la mascherina. “Ce l’avranno lo sciroppo d’agave?”
Brava!
Concentrati sullo sciroppo e poi bisogna ricordare dove sono le pizze, quelle
buone. Ci si rialza sempre, sempre. “Orami dovresti averlo capito che non scappo
più”.
“Continua
con le tue scariche d’adrenalina, il mio cuore è forte; non è facile spezzarlo,
ormai. Sapessi quante volte ci ha provato la vita…”.
Le
mani stringono il carrello con tanta forza da fare diventare anemiche le
nocche. “Mi stai spingendo ad uscire in fretta, correndo? Eh no, mio caro,
quasi vado dare un’occhiata alle offerte della settimana… Oh, puoi farmi salire
tutta la nausea che vuoi, e mi comprerò un set di formaggi… ecco, quelli
potrebbero mandarmi in tilt il cuore, non tu!”.
Lo
so che sto litigando con me stessa. Il panico non ha una forma reale,
altrimenti lo avrei già preso a calci sulle palle… perché è maschio; non ne ho
mai sentito la voce, ma è maschio (e palestrato): ha una forza fisica che riesce
a schiacciarmi.
Torno
alla frutta, quella fa bene. “Ma stai morendo”, suggerisce lui.
Morirò
con la bocca che sa di mandarino.
Fila
alla cassa, le gambe tremano, ma sta passando per lasciare il posto a una
stanchezza che mi metterei a dormire nel carrello.
Carico
l’auto, mi accendo una sigaretta (il cuore se ne lamenta, e ha ragione), torno
a casa.
Chissà
quanto durerà la paura di uscire di nuovo?
Mah,
vado a farmi una passeggiata col cane…
“Ti
ho fregato? Capita, sai. Si chiama Karma”.
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