Elogio del tè

 Il tè non si beve come il caffè.

Seduta al tavolino di un bar, attendo che la bustina si fidi dell'acqua per lasciarsi andare.
Annuso, a tratti guardo dentro la teiera per stimare il tempo d'attesa.

Poi ne verso un po' nella tazza, che accarezzò e tengo tra le mani per scaldarle e scaldarmi.

Osservo il fumo che si alza dalla tazza e continuo ad annusare.

Intanto, tra i fruitori del caffè si consumano piccole battaglie dialettiche e la tazzina è vuota in meno di un minuto.

Il caffè è parlato, il te è silenzioso.

Non lo bevo, lo sorseggio.

Troppo caldo, attendo e ascolto altre conversazioni, a volte annoto qualche frase (non si sa mai, metto da parte per il futuro).
Quando la temperatura è quella giusta ascolto solo la voce dentro.

Magari giudico la qualità: difficile trovare un buon tè in un bar, ma non ha molta importanza.
Svuoto la teiera e nel frattempo sono passati in tanti, ognuno con un suo pensiero da bancone.

Il tè non lo si può bere al bancone.
Qualcuno gusta lo zucchero con un rapido movimento circolare della tazzina piccola che non scalda le mani, e tace perché ha cose private da pensare.

Nel te non metto lo zucchero né il latte né il limone; lui mi basta così.
Il tè è per gente lenta.
È la pausa dei romantici. Dei sognatori.
Il tè è per chi ha imparato ad aspettare.




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