Storiella tristanzuola, con lieto finale
Mentre guardo la fiumana
di gente in coda all’ingresso del Salone del libro (di mattina, di sabato
mattina; ma solo io amo dormire nel fine settimana?), penso che se ognuno di
quegli individui cotto dal caldo acquistasse il mio romanzo, diventerei ricca,
il mio editore potrebbe vivere sulla spiaggia di Dubai, le sue meravigliose
collaboratrici lavorerebbero solo se e quando ne hanno voglia, e saremmo tutti
felici.
Tuttavia, smetto di fissare la madre delle mie fobie, salto la coda per avere informazioni su dove
si trovi l’ingresso stampa (perché non sentendomi scrittrice ho deciso che era
giusto e onesto avere l’accredito “sincero”). Chiedo “I giornalisti possono
passare da qui, che mi è più comodo?”. Ovviamente no.
E lì è avvenuto un fatto
curioso: mi si avvicina un uomo che, con gentilezza, mi spiega che la figlia ha
appena pubblicato un romanzo. Chiama la figlia (non una ragazzina, diciamo
vicino ai trenta) e la illumina su cosa faccio. Di solito, davanti a scene del
genere, tendo ad aspettarmi un pugno sui denti, perché a volte i giornalisti
non sono un granché simpatici alla gente. La figlia, invece, si spoglia del
broncio e mi pare colta da un entusiasmo
che personalmente dedicherei ad altre figure professionali (cioè, io sono
contenta così quando trovo un idraulico); mi espone la sinossi della sua opera,
mentre io mi domando “perché?”. Arriva anche un ragazzo che mi chiede se sono
una editor… quindi, parlottano tra di loro e io continuo a pormi la stessa
domanda di cui sopra.
Il ragazzo decide che
anche una giornalista può tornare utile prima o poi e mi chiede un biglietto da
visita o il numero di telefono. E qui parte un’altra sinossi accompagnata da note
critiche che mi sembrano sensate e intelligenti; ma io cosa c’entro?
Dico che sono un po’ di
fretta, che stare lì sotto il sole mi dà un lieve capogiro da prossimità allo
svenimento per ipotensione, che si rischia un melanoma, che vorrei capire…
perché?
E niente, vorrebbero
essere intervistati o comunque ottenere una recensione dei loro romanzi (edito
e inedito). Li posso intervistare anche sul momento, perché ce ne freghiamo del
melanoma. Cerco di essere cortese, sorrido, spiego che non scrivo recensioni di
libri. La tizia s’incazza perché il padre le ha fatto perdere il posto nella
fila e mi guarda con un discreto risentimento. L’autore in cerca di editore
saluta e se ne va deluso, pare persino stanco (e lo capisco; se ne fossi capace
amerei elargirgli consigli utili).
Penso se tutta quella
gente in coda è lì per piazzare un romanzo, tocca riflettere ben bene sul mio
hobby: scrivere è bellissimo, regala energia ed emozioni, ma se tutti scrivono
e nessuno legge è meno avvilente scrivere solo per se stessi e mai (è un mai
bello grosso) sperare di poter declinare ciò che mi piace fare in professione,
magari per arrotondare la futura pensione d’anzianità (che prevedo preoccupante).
Dentro vedo gente
ovunque ma la vivo come una sfida alla mia fobia sociale, un esercizio utile
per superarla, una distrazione dalla delusione che la mia professione ha
provocato nei due autori e che, perlopiù, produce anche in me.
Vedo scrittori famosi e molti
li fotografano, loro malgrado diventano protagonisti di selfie. Li osservo, mi
chiedo perché non gli salga un’ansia da fare scappare correndo.
Io fotografo il mio
libro nello stand (dato che per anni non uscivo, non ho mai visto nulla di mio
esposto, se non in foto: pensavo fosse più emozionante; o almeno un po’ emozionante… sarà l’effetto
dello Xanax che tutto appiattisce).
Mi godo da lontano il viso di Erri De Luca senza
frapposizione di telefono (bell’uomo, occhi veramente affascinanti, mi è
simpatico).
Gironzolo, bighellono,
ogni tanto esco a fumarmi una sigaretta, non riesco a farmi piacere quello che per
me, lettrice compulsiva, dovrebbe essere il paese di balocchi. Poi decido di
tornare a casa.
E fuori, nel piazzale
antistante il Salone noto la libraia più bella che abbia mai visto in tutta la
mia vita. Finalmente acquisto un libro: non so di cosa parli, non importa, so
che mi piacerà.
Mi attardo a chiacchierare
con l’affascinate libraia, le cammino accanto mentre lei si sposta con i libri
sulla testa, fermo qualcuno invitandolo all’acquisto. Sono incantata.
La mattinata al Salone
del libro finalmente ha un suo perché. Non importa di chi scrive e di chi legge, io continuerò a fare entrambe le cose
perché… come poco fa mi ha detto la mia amica Paola, davanti alla foto della
libraia, “questa è la meraviglia delle parole e delle idee che attraversano il
mondo”.
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