Se restassero solo due settimane

     

    Questa notte non riesco a dormire: troppo caldo, troppo thè, troppa nicotina e una lattina di Coca Cola.

Così, un’oretta fa ho guardato un film di cui ho già dimenticato il titolo. L’ho scelto solo perché il protagonista è Steve Carell, che ha un’incredibile faccia da topo, e mi sono sempre piaciuti gli uomini che somigliano ai topi. Ho immaginato si trattasse di una commedia perché Carell l’ho sempre visto interpretare ruoli comici.

Oggi (ormai è un ieri) è stata una giornata strana, non orribile ma con una sfumatura di tristezza che bramava proprio una commedia, qualcosa su cui sorridere senza stare a pensare. Invece mi sono imbarcata in una pellicola di tutt’altro genere.

Un meteorite distruggerà la terra tra 15 giorni e il protagonista, abbandonato dalla moglie, decide di andare a cercare il suo grande amore mai dimenticato (altrimenti, come grande amore lascerebbe parecchio a desiderare); nel frattempo incontra una sconosciuta un filo bizzarra e, com’è prevedibile, tra i due nasce un sentimento che annulla tutto il resto, persino la paura per l’imminente fine del mondo. Film non memorabile, ma con una bellissima colonna sonora (Beach Boys, INXS, The Walker Brothers e The Hollies con "The Air That I Breathe”, brano da brividi). E Carell è molto bravo anche in ruoli drammatici, o quantomeno tristanzuoli, pur col suo musetto da roditore.

Tuttavia, non è del film che voglio parlare; c’è qualcos’altro che gira e rigira nella mente: se restassero solo due settimane di vita, cosa farei? A parte qualche sano e finalmente giustificato attacco di panico, ovvio.

Ho iniziato a chiedermelo mentre i vari personaggi tentavano di raggiungere una meta, di riunirsi alle proprie famiglie o di continuare una “normale” quotidianità.

In una notte che si prevede lunghissima, insonne, particolarmente silenziosa e afosa, non ci si dovrebbe porre quesiti esistenziali, al massimo si dovrebbe focalizzare l’immaginazione su un accogliente igloo in cui accucciarsi.

E invece… continuo a pensarci. Ho messo in calendario solo due “appuntamenti”: scrivere una lettera a una persona per me importante che non sa d’esserlo, imbucarla, e trascorrere l’ultima notte su una spiaggia (possibilmente deserta), restando sveglia per non perdermi il gran finale.

Nel mezzo? Non mi viene in mente alcunché. Incontrare gli amici di sempre - questo sì - ma giusto una visitina breve con lunghi abbracci; forse vincere l’imbarazzo e abbracciare anche mio padre; entrare in una chiesa per vedere se si risveglia la fede in qualcosa (entro spesso nelle chiese, quando sono vuote: mi calmano, aiutano a fare un po’ d’ordine nel caos mentale); fare scorta di sigarette, Xanax e forse bere un gin tonic dopo due decenni di astensione dall’alcol (mi sa di no, probabilmente non mi piacerebbe più); magari prendere l’auto e viaggiare senza una meta precisa fino a prosciugare il radiatore e fondere il motore (pochi chilometri, ne ho la provata certezza).

Poi, boh. Eppure, non sto vivendo un periodo di depressione, i miei sbalzi umorali sbalzano meno, l’ansia è accettabilmente ansiosa. Sarebbe bello poter ammettere che non desidero nulla di particolare perché sono soddisfatta di ciò che ho, ma una vocina interiore mi suggerisce che così non è.

Credo che il problema non sia non trovare una risposta su come impiegherei gli ultimi giorni, ma arrovellarsi su un problema inesistente (come sempre). Però c’è poesia nell’immaginare scenari apocalittici, c’è persino una sorta di perversa quiete.

Forse tra un po' mi guarderò un episodio del Dottor House e mi distrarrò con una punta d’ipocondria. Nel frattempo sto ascoltando ottima musica con il sottofondo dell'impastatrice del fornaio qui sotto, che è un suono che riporta con i piedi per terra.

Per qualche motivo sento che voi sapreste esattamente cosa fare in quelle due maledette settimane.




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