Sviluppare il coraggio. Le armi contro il Disturbo Ossessivo Compulsivo

 “Come posso allontanare da me questi pensieri che mi fanno star male? Ho provato in tutti i modi a cacciarli via ma, ogni volta che ci provo, loro ritornano immediatamente perché sono dentro la mia testa. È come se avessi una voce interna che mi parla. So che sono pensieri irrazionali, che mi costringono a evitare tante situazioni e a ripetere alcuni comportamenti, ma non riesco a non averli […] So che dall’esterno tutto ciò appare insensato, ma io sento dentro di me una sorta di voce che mi spinge a lavarmi continuamente e, dopo essermi lavato, a non toccare nessun oggetto per non “sporcarmi” di nuovo. Quando finalmente vado a letto, mio padre mi deve accompagnare, rassicurandomi di non aver toccato nulla che possa avermi contaminato […].”

Con la testimonianza di un paziente, si apre “Ossessioni e compulsioni. La terapia cognitivo comportamentale in azione” (IW Edizioni), del terapeuta Enrico Rolla, direttore dell’Istituto Watson, Centro di Psicoterapia e Scuola di Specializzazione in Terapia Cognitivo-comportamentale di Torino.

Il volume tocca ogni aspetto del disturbo ossessivo-compulsivo (DOC): da come riconoscerlo e valutarlo all’approccio corretto da parte dei famigliari e dei terapeuti, da come chi ne è affetto può ridurne i sintomi modificando alcuni stili di vita a test ed esercizi pratici.

L’argomento è interessante, il disturbo è diffuso e invalidante, Enrico Rolla è estremamente competente e simpatico; quindi, ho deciso di intervistarlo sperando che questo articolo possa essere utile a qualcuno di voi.

 

Iniziamo con un esempio pratico: quando mi sento fortemente ansiosa, sommo i numeri delle targhe e poi divido il risultato per il numero di auto; oppure conto i passi mentre cammino, moltiplico, inserisco anche qualche radice quadrata. Soffro di DOC?

No. Lei concentra il pensiero su qualcosa che la aiuti ad alleviare lo stress. Nel DOC è il pensiero a generare stress. La sua è una tecnica distrattiva che si usa ad esempio con gli agorafobici, ai quali dico “conta le vetrine, conta i lampioni…” per attenuare la paura e il disagio di trovarsi all’aperto, di affrontare una situazione che genera uno stress molto elevato. Si tratta di distrazioni che spostano l’attenzione dalla situazione ansiogena.

E allora quali sono i “sintomi” del DOC?

Ha visto il film “Qualcosa è cambiato” con Jack Nicholson? I rituali del protagonista sono tipici del DOC: lavarsi le mani ogni volta che si tocca qualcosa o qualcuno, controllare ripetutamente di aver chiuso la porta di casa, eccetera. Si tratta di un disturbo caratterizzato pensieri, immagini mentali, impulsi e sensazioni intrusive (ossessioni) e da comportamenti rituali che non si riesce a smettere di compiere (compulsioni). Le compulsioni, nella mente del paziente, dovrebbero tenere a bada le ossessioni; ovviamente ciò non accade e quindi i vari rituali continuano a ripetersi.

Che tipo di pensieri innesca un meccanismo così disturbante?

Una mia paziente, una giovane mamma, immaginava se stessa prendere un coltello e tagliare la gola al suo bambino. Era sopraffatta dall’ansia e dal terrore di compiere quel gesto, quindi nascondeva ogni oggetto tagliente, ma a quel punto si creava l’immagine di una corda con cui avrebbe potuto strozzarlo. Una persona molto religiosa può avere pensieri impuri o blasfemi e cercare di soffocarli con la ripetizione compulsiva di preghiere. Dobbiamo tenere conto che la fantasia del DOC è infinita, la mente può creare scenari molteplici, trame molto complesse che aumentano a dismisura il livello d’ansia. Pensieri ed emozioni non sono di per sé un problema, lo diventano solo se monopolizzano la nostra mente. Se li prendiamo troppo sul serio, corriamo il rischio di dipendere da loro. Ricordiamoci sempre che “sono solo pensieri, non sono la nostra realtà”. Quando ne siamo “intrappolati”, trascorriamo molto tempo a rimuginare, sviluppiamo visioni negative e catastrofiche e ci angosciamo nel tentativo di trovare una soluzione. Chi non soffre di Disturbo Ossessivo Compulsivo riesce a lasciarli “andar via”.

Nel libro parla di studi che hanno evidenziato come, dal momento in cui compaiono i primi segnali sino a quando si riesce a trovare un terapeuta in grado di applicare un trattamento adeguato, passino mediamente 17 anni. Perché è così difficile da diagnosticare?

La prima complicazione è che la persona con DOC inizia a convivere con il disturbo pensando che “non sia poi tanto un problema”; sono molti quelli che pur avendo il disturbo non hanno mai iniziato nessun trattamento: si sa che qualcosa non va, ma il più delle volte ci si rivolge a noi quando il disturbo diventa insopportabile per se stessi e/o per gli altri. Non dimentichiamo che prima di accedere a un trattamento efficace, capita di dover affrontare un percorso lungo e tortuoso: si parte pensando “posso farcela, posso gestirlo”, poi si passa al medico che di norma prescrive antidepressivi e ansiolitici che alleviano il sintomo ma non bloccano il DOC, alla fine si trova qualcuno che ha l’esperienza per trattare questo disturbo. Non è un disturbo facile da trattare nemmeno per noi, serve una lunga esperienza.

E’ anche un problema difficile da percepire da parte di chi ne soffre?

Chi ha il DOC se ne accorge immediatamente. Inizia sempre nell’adolescenza, magari in modo leggero. Ma, per fare un esempio tipico, quanto una persona si lava per tre ore di seguito, è evidente che qualcosa non va; lo sa lui e lo sa chi vive con lui. Così come il marito o la moglie che obbligano il coniuge a rituali per evitare la “contaminazione”. È un disturbo estenuante, consideri che spesso genitori che hanno un figlio con il DOC finiscono per separarsi (perlopiù la madre resiste, ma il padre cede).

Il DOC sfocia nel disturbo di attacchi di panico?

Si possono avere attacchi di panico, quando il DOC raggiunge livelli elevati. A volte anche per motivi diversi: un mio paziente con ipercontrollo della respirazione, ovviamente era soggetto al panico a causa di una respirazione errata. Ma gli attacchi di panico sono un’inezia in confronto al DOC. Il panico finisci per comprenderlo, sai cos’è e che la durata dell’attacco è limitata… ma il DOC ti ripete continuamente “Pericolo!”, non dà tregua.

Quanto può limitare la vita di chi ne soffre?

Il DOC è tra i disturbi più invalidanti. Nei casi di miei pazienti che espongo nel libro, i soggetti non riuscivano più ad andare a lavorare, studiare, uscire da casa. È un disturbo che comporta un costo sociale elevatissimo. I disturbi d’ansia (DOC compreso), e la depressione costano più dei tumori e dell’infarto, per perdita del lavoro, assistenza…

La pandemia ha aggravato questi disturbi?

Quando c’è stress il DOC aumenta, come è aumentata esponenzialmente l’insonnia in questo periodo.

Lei scrive “Siate indulgenti con voi stessi, accettatevi” … va un po’ (tanto) contro a quanti dicono “non guarisci perché non hai abbastanza la volontà”.

La gente senza competenze e abilità inerenti a questi tipi di disturbo dovrebbe tacere. A dare consigli sono capaci tutti; ad aiutare nel percorso di guarigione, no. L’accettazione di sé è la cosa più importante: da qui si parte per poi iniziare a lottare.

Cos’altro, al di fuori della terapia, può procurare sollievo?

Ridere di se stessi. L’umorismo è molto importante per stare meglio, aiuta anche nel rapporto con il paziente. Ridere di sé significa accettarsi. Poi l’attività fisica aiuta molto. Infine, è importantissimo sviluppare il coraggio.

Sviluppare il coraggio… come?

Il coraggio arriva molto dalle competenze. Stanley Jack Rachman, grandissimo ricercatore, aveva condotto uno studio significativo: si era chiesto qual era il mestiere che esponeva a maggiori rischi… disinnescare bombe; e da dove veniva il coraggio di chi svolgeva questo lavoro? Dall’addestramento, dall’allenamento. Il DOC è una “bestia” che provoca un’ansia soverchiante, ma quando inizi a padroneggiarlo, quando hai delle strategie e delle tecniche, diventi più coraggioso. Ma, appunto, il coraggio arriva dalle abilità che acquisisci. Per questo bisogna trasferire abilità e non il “mettici un po’ d’impegno e ce la fai” di cui parlavamo prima.

Come funziona, all’atto pratico, l’ERP (tecnica di Esposizione e Prevenzione della Risposta)?

Si espone il soggetto a ciò che lo spaventa. Faccio un esempio: ho un paziente DOC da contaminazione (caso molto frequente), lo invito ad appoggiare una mano sul tavolo; immediatamente il suo DOC gli dice di correre a lavarsi e di stare attento a non toccarsi gli abiti con quella mano, altrimenti dovrà lavare tutto; io cerco di non fargli lavare le mani (prevenzione della risposta: ti espongo ma prevengo la risposta). All’inizio c’è un picco alto d’ansia, ma piano piano si abbassa. Per calmarlo dico “non puoi lavarti le mani subito, ma potrai farlo tra un po’”. Ovviamente, non basta attuare questa tecnica una volta sola, va ripetuta e purtroppo a casa non lo può fare, non riesce, cede alla compulsione. Noi gli facciamo ripetere l’atto per parecchie ore al giorno, altrimenti non lo recuperiamo.

Lei scrive che “è importante sapere che la guarigione risiede in quella che è la caratteristica principale del cervello, ovvero la sua plasticità; e che, grazie a questa, il cervello è in grado di modificarsi”. Il cervello si modifica a qualsiasi età?

Il cervello è plastico a qualsiasi età. Quando concepiamo dei pensieri, attiviamo immediatamente delle sinapsi e quindi generiamo una sequenza di emozioni e comportamenti che possono modificare il comportamento. Con le terapie che lavorano sui pensieri, che insegnano a lavorare su di essi e a modificarli, si raggiungono risultati importanti.

Si può guarire dal disturbo ossessivo-compulsivo?

Nei casi molto gravi è difficile prevedere una remissione totale del disturbo. Ma si può stare meglio, molto meglio. Si può tornare a lavorare, studiare, avere una soddisfacente qualità di vita.

Enrico Rolla - OSSESSIONI E COMPULSIONI. LA TERAPIA COGNITIVO COMPORTAMENTALE IN AZIONE – IW Edizioni.

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