Il non sonno dell'inquieta.

 

Foto di Giulia Della Croce

    Quando finalmente arriva quella stanchezza che promette un buon sonno (ed è cosa rara), inizia il susseguirsi di distrazioni.

“Non ho messo in carica il telefono”, così tocca alzarsi e testare i vari cavi appesi a una presa che prima o poi tracollerà; l’ultimo è quello giusto.

Torno a letto.

“Com’è che non ha fatto il solito bi-bop? Mi sa che non ho infilato bene lo spinotto”, mi alzo a controllare; sta caricando. Bene!

Testa sul cuscino. Ho sete.

“Perché ho lasciato l’acqua in cucina?”. Mi alzo, apro il frigo, mangio un quadretto di cioccolato e, dopo un tentennamento piacevole per via del fresco che giunge dallo sportello aperto, apro un succo d’aloe; ci hanno aggiunto lo zucchero ma è rinfrescante.

Torno a letto.

“Dovrei lavarmi i denti, ma ho sonno… troppo dolce quell’aloe, ora ho di nuovo sete e non ho portato l’acqua... ma che testa di...!”. 

Mi alzo, prendo la bottiglia, ritorno. Mi piace bere da sdraiata. Un sorso, due sorsi e mi va di traverso; attacco a tossire come se il polmone volesse uscire a prendere una boccata d’aria.

A luci spente allungo la mano nel cassetto del comodino e inizia il frullare di dita alla ricerca del fazzoletto; c’è la plastichina del pacchetto, ma è svigorita, solitaria, avvilita.

“No che mi alzo, respiro con la bocca che va bene uguale”. Per un attimo, seguito dalla perdita di quel minimo di amore per me stessa, medito persino di soffiarmi il naso nel lenzuolo, “tanto domani metto tutto in lavatrice…”. Mi vergogno un po’, penso che nonostante tutto sia un bene mantenere un briciolo di dignità, che potrei morire nel sonno e mi troverebbero in mezzo al moccio. Mi alzo, prendo i fazzoletti e colgo l’occasione per lavarmi i denti, seppur sommariamente perché sono stanca.

“Ok, ora si dorme… certo che mentre c’ero potevo fare la pipì, ma tengo”. Appena assumo la posizione fetale decido che la vescica, compressa dalla postura, oppone dubbi alla mia certezza. Mi alzo e decido che, cascasse il mondo, quella sarà l’ultima volta.

Ciabatto la strada a ritroso e adocchio l’orologio che, tra una cosa e l’altra, segna già le due.

Già che ormai è tardi, tanto vale fumare una sigaretta; “o mi faccio un panino? No, sigaretta… meglio, altrimenti rischio il reflusso”.

Fumo e poi fagocito un panino con pomodoro e feta.

Torno a letto. Sono esausta. Sale l’acidità di stomaco.

“Pomodoro e feta… ma come si fa? Tanto valeva condirli con pentafluoruro di antimonio… e questo da dove esce? Cos’è? L'ho inventato... l'ho inventato? Domani mattina cerco su Google. O magari anche adesso, volendo, che altrimenti lo dimentico”.

Mi alzo, sveglio il motore di ricerca e mentre ci sono guardo se ci sono novità sul caso Assange. Pessima idea! Assange mi sveglia completamente, mi agita, mi sale il nervoso (comunque non ci sono novità). Tocca giocare qualche mano di poker per rilassarmi; vinco 63.000 dollari virtuali e perdo completamente il sonno.

Prendo uno Xanax, porto il cane a fare una passeggiata, poi torno e inizio a lavorare. Tanto, così è.

Immagine: il mio balcone buio visto dalla casa accanto, autore Giulia Della Croce.

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