Provare a stare bene è un duro lavoro.

     L'osservazione dei progressi fatti non offre grandi soddisfazioni, almeno così è per me.

Sarà che sono diventata un po' severa: a volte mi premio, ma accade sempre più raramente; altre volte prendo atto di un'azione che sono riuscita a compiere mentre penso ad aumentare il grado di difficoltà.
All'inizio di questo programma (del tutto personale, inutile entrare in dettagli che probabilmente non vi sarebbero di alcuna utilità) privilegiavo la prima opzione, quella del regalo e dei "festeggiamenti"; ora no.

E' che, a mio parere assai opinabile, tentare di uscire da un disturbo parecchio invalidante richiede allenamento, ma soprattutto educazione mentale... che non significa non dire parolacce tra sé e sé.
Una bravissima psicoterapeuta, un giorno mi disse che dovevo sforzarmi di pensare alla mia mente come a un muscolo che, per restare tonico, necessita di costante esercizio.

Tutto ciò è per dire che oggi ho provato l'esposizione a una situazione decisamente ansiogena: sono andata all'inaugurazione di un supermercato (sconti, saldi, ti tiravano dietro la roba, folla impazzita).
Ho dribblato carrelli, saltato cestini, lottato per le puntarelle e le castagne.
Nella lunga fila alle casse, ho ascoltato le chiacchiere che s'incrociavano rimandando un effetto cacofonico senza prestare attenzione; per uno o due momenti ho anche pensato "ora mi piglia un attacco di panico e resto bloccata qui", tuttavia sono riuscita a deviare quell'idea inquinante concentrandomi su un oggetto insignificante come gli ingredienti della pizza senza glutine e lattosio (che dentro ha un casino di altra roba per nulla rassicurante).

Ci sono riuscita. Non importa se, una volta a casa, mi sia sentita stanca come se avessi giocato una partita di rugby (con analoghi dolori a ogni parte del corpo), l'ho fatto e il resto non conta.
E' un lavoraccio, lo so. La metà è là, la vedo: non avere più paura... salvo i casi in cui sia normale e salvifico avere paura.
E' un lavoraccio, lo so.



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