Sincerità? E' roba per pochi.
Spesso sento dire, o leggo, frasi del tipo "dico sempre la verità!", dove il punto esclamativo quasi rimbomba. Ammetto che sarei tentata di chiedere agli autori (o autrici, che sono più frequenti), se conducono una vita solitaria come tenie; perché questo fa la sincerità nuda e cruda, senza filtri: allontana gli altri.
Essere sinceramente sinceri... l'avverbio è lì non solo per baloccarmi coi vocaboli, piuttosto per via della falsa sincerità che dilaga; è un ossimoro, lo so, ma noi umani siamo parecchio contraddittori, fateci caso.
Credo che la sincerità vada meritata, come qualsiasi altra cosa. Inoltre, so che non tutti la sopportano e rischiano di cadere in spiacevoli equivoci, come pensare che una brutta verità sia falsa, frutto d'astio o d'invidia. Ecco perché la uso poco (la motivazione più rilevante la tengo per la fine, anche se ho spoilerato all'inizio): da un lato non mi piace ferire le persone a cui tengo, dall'altro non vedo perché dovrei dare un'occasione di riflessione e magari anche di miglioramento a chi non sopporto. Oddio, non che le persone che non sopporto siano molte; a ben pensarci, statisticamente la prima soluzione è quella che pratico più spesso. Eppure amo la sincerità, sul serio.
Nella mia vita ho conosciuto due persone estremamente schiette; chiunque poteva essere certo che dalla loro bocca uscisse solo ciò che pensavano. Erano due amiche preziose che, all'inizio della conoscenza, mi spiazzavano. Non ero abituata ad ascoltare giudizi, impressioni, chiamiamoli come ci pare, spesso così fuori dal coro e persino pericolosi: hanno sempre incontrato problemi sul lavoro, pur essendo molto in gamba e preparate; hanno sempre trovato difficoltà sentimentali e amicali, pur essendo peculiarmente generose, simpatiche e divertenti (l'ironia non manca in soggetti schietti), e intelligenti.
Queste donne, purtroppo, se ne sono andate nel giro di un paio d'anni.
Qualche giorno fa ero al funerale dell'unica rimasta, e mi sono ritrovata a pensare (con un inizio di attacco di panico, di quelli che scaturiscono dal puro egoismo) che ora non avrò più chi se la sente di giudicare il mio lavoro, o alcune scelte extracurricolari, senza i cosiddetti peli sulla lingua. Al dolore per la perdita, per la consapevolezza di non sentire più quella risata sincera (altra discriminante importante per giudicare la schiettezza nelle persone), e per un altro miliardo di cose, ho avvertito una sorta di vuoto e smarrimento... a chi potrò chiedere un consiglio o un giudizio non contaminato dagli innumerevoli fattori che ci spingono a giurare il falso?
Non potrò più arrabbiarmi per una "bocciatura" e poi, dopo adeguata e sincera riflessione, ricominciare per fare meglio? Penserete che a una certa età (meta che ho raggiunto) non si dovrebbe più avere bisogno di pareri esterni; forse avete ragione, probabilmente sono troppo insicura o immatura per camminare con le mie sole gambe (sbarro la casella del sì a tutte e due le opzioni). Tuttavia, a me piace sentire la verità.
Perché non la dico spesso? Mi manca il coraggio! Ce ne vuole a tonnellate per la verità. E voglio che gli amici che ho (e che mi vogliono un gran bene, non ho dubbi su questo... e che spesso sono estremamente sinceri; ma spesso, non sempre) non si allontanino. Ho già provato quella strada, che peraltro percorrerei con una certa facilità (anche se con un filo di aggressività che guasta): le persone si sono un po' scostate, e non mi è piaciuto; sono poi tornate (quando ci si vuole bene va così, senza se e senza ma), ma con diffidenza. Per restare soli non c'è modo migliore di quello di non mentire, anche se le bugie non piacciono a nessuno.
Supererò questa sensazione d'abbandono e continuerò ad essere sincera su una cosa: spesso non sono sincera.
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