Oggi, un romanzo che mi è piaciuto molto.

 In un mare di conchiglie vuote, seppur esteticamente gradevoli, a volte capita di trovare una perla. Mentre mi concedo una pausa leggendo un libro “grazioso”, ripenso a un romanzo ricevuto in regalo qualche mese fa e iniziato senza troppo entusiasmo (mi accade d’essere superficiale nell’approccio con autori a me sconosciuti). Mi è arrivato da un'amica che, se ben ricordo, l'ha letto dopo averlo trovato in una piccola libreria "per botta di fortuna" (così mi ha scritto).

Ne rimase talmente colpita che si prodigò a rintracciarne una copia anche per me, e non le fu facile.
Il testo in questione s'intitola "Il vecchio figlio" ed è scritto da Luciano Allamprese, editore Atlantide. Lessico e ritmo perfetti, trama avvincente (seppur costruita su una storia famigliare semplice, senza fronzoli né eclatanti colpi di scena), un’eleganza stilistica rara; si intuisce la profonda cultura dell'autore che, tuttavia, evita di snocciolarla con la palese presunzione riferibile, ormai, a molti autori contemporanei.
Ho compreso perché la mia amica si sia innamorata di questo romanzo e condivido il suo entusiasmo, ma entrambe ci siamo chieste perché non abbia conquistato editori più noti e prestigiosi o un ampio pubblico. So che l’autore ha esordito con Mondadori e mi sono incuriosita. Quindi, ho notato che la mia copia è numerata e, facendo una breve ricerca online, ho scoperto che l’autore stesso ha chiesto che il volume fosse stampato in 999 copie. Ovviamente, non mi è dato sapere la motivazione di tale scelta, ma mi pare un peccato.
La storia che parte dall’infanzia per arrivare all’età matura (il tutto mirabilmente concentrato in 200 pagine), si incentra sul rapporto molto conflittuale con la figura paterna; un padre per nulla violento, cattivo o anaffettivo, semplicemente troppo distante dal figlio per carattere e aspirazioni. Odio e affetto, incomprensioni e intese si alternano con un andamento morbido, quasi impercettibile.
Un romanzo che vale la pena d’essere letto, fosse anche solo per comprendere meglio quanto le distanze con i genitori non siano così incolmabili.
“Doveva ricordare anche lei quando, fissando nella mia camera le centinaia di libri accomodati nei loro scaffali – già da ragazzo mostrai la vocazione del bibliotecario – mio padre aveva proposto:
«Non potremmo coprirli con una tenda?».
Capimmo che esistono due scuole di pensiero; quelli che, per simulare di avere libri che non hanno, riempiono i mobili di libri che di vero hanno solo il dorso e quelli, come mio padre, che vorrebbero fingere di non possedere tutti i libri che hanno.”



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