Sull’amicizia e i suoi dolori.

 

“Il termine "amico" è da ricondurre direttamente al latino amicus che ha la stessa radice di amare, per cui significa letteralmente "colui che si ama". Da etimoitaliano.it

Mi è più facile comprendere i meccanismi dell’amore romantico, passionale, di quelli dell’amicizia. Si somigliano; si somigliano proprio tanto: scatenano “effetti indesiderati” analoghi (gelosia, paura dell’abbandono, dolore per il tradimento o la perdita); sono similari persino nella genesi… quel colpo di fulmine o il lento innamoramento che fa capire quanto sia importante avere accanto quel particolare individuo.

Non so cosa scatti nella nostra mente quando incontriamo coloro che poi diventeranno amici. Verrebbe da pensare che si tratti di un’affinità intellettuale, ma nel tempo ho imparato che non è così; i miei migliori amici hanno passioni e idee perlopiù divergenti dalle mie: possiamo allestire delle lunghe ed estenuanti risse verbali parlando di politica, religione, stili di vita, persino sul cibo da cucinare per una cena.

Di certo è qualcosa di più profondo e istintivo. Giorni fa leggevo un interessante articolo su DNA e amore, la predisposizione genetica al colpo di fulmine, l’importanza dei geni nel determinare la propensione a una relazione romantica o a un comportamento da single; il polimorfismo come risposta ai sentimenti… che però non spiega perché istintivamente proviamo attrazione o repulsione per qualcuno, che è poi la parte interessante della faccenda, né come inquadrare l’amore per gli amici che è differente da quello per i genitori e il partner.

L’amicizia è amore, ne sono certa. E continuo ad amare, di un amore doloroso, gli amici che, per un motivo o per l’altro, se ne sono andati. Il loro ricordo è più intenso di quello destinato agli ex fidanzati/amanti/chiamiamoli come ci pare.

E gli amici virtuali? Di nuovo, si viaggia sugli stessi binari dell’innamoramento nato via web. C’è la lontananza, a volte l’impossibilità ad incontrarsi, si deve mettere in conto che forse quella persona non la si potrà mai raggiungere fisicamente; eppure si creano legami forti, nati magari da un’unica frase che ci ha colpiti e dalla curiosità di capire chi e cosa vi sono dietro.

Negli ultimi due anni ho perso delle amicizie di lunga data. Non è stata colpa loro né mia, per loro la vita si è conclusa, stop… così, senza tanti convenevoli, lasciando un vuoto di cui fatico a capacitarmi e che genera quella punta di depressione che porta a ripetere “che senso ha tutto questo? Che senso ha svegliarsi, arrabattarsi, lottare, conquistare mete?” (che poi sono le classiche domande della depressione).

Mi ripeto che non sono ancora così vecchia per vedere morire gli amici, che è una cosa che dovrebbe aspettare uno o due decenni per accadere. Tuttavia, per quanto protesti, il risultato non cambia: loro non ci sono più e io sono ancora qui a parlare con le assenze, illudendomi circa il loro ascolto. Fantasmi che fluttuano con insistenza nella mia mente e mi danno le risposte che gli suggerisco.

Lo so, il tema non è divertente, la morte non è mai divertente (tranne per qualche sceneggiatore britannico), ma oggi è una giornata particolare.

La scorsa notte ho scoperto che un amico virtuale non c’è più. Non è l’unico, a volte faccio caso al fatto che la mia casella di posta elettronica e la finestra con le foto degli amici su Facebook contengono necrologi fatti di parole non più scritte, d’interruzioni di comunicazione.

Ma oggi mi sento particolarmente abbattuta per quell’amico mai incontrato, ma più presente di chi vedo quotidianamente. Terribile è anche il fatto che, in quel tipo di amicizia, le brutte notizie le si leggono sullo schermo del computer, mentre sei sola e non hai un interlocutore con cui sfogare il dispiacere.

Così, si scrive.



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