"Solo per un po'".
Mi hanno detto “per un po’ non scrivere. Esci, guarda
cosa accade fuori da te, incontra gente e i loro pensieri… solo per un po’”.
Così, per due o tre mesi ho segregato i quaderni in un
cassetto, messo in attesa tutte le storie già iniziate e mi sono piazzata in
ascolto di voci e mi seduta su panchine e ho sorriso anche quando non ne avevo
voglia e ho provato a ripudiare l’isolamento e un sacco di altre cose poco significative.
Poi ho avvertito quella sensazione di vuoto che, di
norma, prelude al pericolo di umore tendente al tetro: una bizzarra sfumatura
di nero, perché pure il nero non è un assoluto (anche se la scienza ha scoperto
un nero più nero del Vantablack, che però qui
non ho mai visto).
Allora mi hanno detto “Sei
strana, sembri assente, forse hai nuovamente bisogno di un aiuto, di uno specialista… solo per
un po’”.
Così sono tornata dalla
specialista che mi ha trovata singolarmente noiosa, segno che è una brava
perché mi venivo a noia da me. Ho riflettuto sull’essere strani e mi è parso
che lo siamo tutti, ognuno a suo modo, con varie sfumature (è sempre una questione
di sfumature, come col nero).
Mi hanno detto “quando esci
di notte, cambia zona! Va’ in luoghi meno pericolosi, prova… solo per un po’”.
Sono andata in posti più
tranquilli e mi sono imbattuta in qualcuno che mi ha fatto paura. Nei luoghi
“pericolosi” non ho mai avuto paura.
“Continua le tue
passeggiate, magari non solo di notte. Esponiti alla luce del sole, togli gli
occhiali scuri. Hai bisogno di luce… solo per un po’”.
Tenevo gli occhi a fessura
e camminavo fino a sentirmi stanca, poi ho iniziato a sentirmi stanca anche da
ferma. E voci e immagini che si spintonavano nella mente, creando ansia e
confusione.
“Forse sei di nuovo in
depressione; un ciclo di antidepressivi ti gioverebbe: prova… solo per un po’”.
Sugli antidepressivi ho
aggirato il consiglio provando ad ascoltare e guardare con attenzione quel
mondo incasinato, quello che sta più dentro che fuori. Nella mia testa
scrivevo, senza dare nell’occhio, nessuno se n’è accorto... vabbè, sembravo un po' assente, ma capita molto spesso.
Scrivere è una fuga dalla realtà a volte troppo luminosa proprio quando non indosso occhiali scuri; è la comfort zone mobile (un lusso, roba per pochi).
Però, quel “solo per un po’” ripetuto da persone che mi conoscono e mi vogliono bene, mi ha resa consapevole di qualcosa che già sapevo: sono una persona incostante. Dicono sia un disturbo della personalità (ne scriverò presto, sto raccogliendo materiale), ma ormai tutto è un disturbo della personalità.
Ok,
sono A., incostante patologica: non riesco a tenere ferma la concentrazione
per periodi prolungati; tranne nei sentimenti (ma sembro incostante anche lì,
tutta apparenza che purtroppo capisco possa fare male) e nella scrittura. I
primi non dipendono solo da me: possono ferire; la seconda è la mia voce che mi
guida per impedirmi di perdermi. Lo so, c’è puzza di codardia, ma ho una
collezione di cicatrici che occupa tanto spazio da non sapere dove sistemarla,
non desidero altri pezzi... fossero pure preziose rarità.
Ho tirato fuori i quaderni,
temperato le matite, ripreso a cercare la musica come compagnia e fonte
d’ispirazione, continuato a fare gli esercizi per rendere il corpo flessibile e
disciplinato (tanto per creare contrasto con la mente e forse educarla un po’).
Ascolto tutti, li ascolto
sul serio, ma ritorno a scrivere… “solo per un po’”.
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