Le esche che innescano la rabbia.


Nel 2019 è arrivata la rabbia.
Non la zoonosi scatenata da un virus (quella è più letale), ma l'emozione che, e qui copio dal web, "deriva dall'istinto di difendersi per sopravvivere nell'ambiente in ci si trova"; definizione che personalmente trovo corretta.
Una rabbia talmente soverchiante da fare impallidire depressione, attacchi di panico, agorafobia, che infatti erano spariti, almeno nella fase acuta dell'ira.
Una serie di eventi hanno trasformato un tratto della mia personalità che mi piaceva parecchio: l'incapacità di provare collera e odio. E con ciò è andata a gambe all'aria anche la convinzione che nella vita non si cambia, che si resta quello che si è e da lì non si scappa.

Nonostante gli inaspettati benefici in termini d'ansia, questa novità non l'ho accolta con piacere. In alcuni momenti mi pareva di comprendere il personaggio interpretato da Micheal Douglas in "Un giorno di ordinaria follia". La violenza fisica mi ha sempre ripugnata (così come le persone che la praticano), così ho iniziato a colpire col tono di voce e le parole. E' come un interruttore che attiva una scarica di energia pronta a trasformarsi in aggressività e tachicardia (e non misuro la pressione sanguigna perché sono certa che i valori mi spaventerebbero). Il guaio è che non m'incazzo solo se viene fatto un torto a me... agisco anche per interposta persona. Un giorno che un amico mi ha vista in azione - eravamo in un mercato rionale - mi ha detto che stavo diventando irriconoscibile e che prima o poi avrei trovato l'individuo giusto per spaccarmi il naso con una testata.

Mi ha fatto riflettere. Ho deciso di voler riacquisire l'alta soglia di pazienza e tolleranza di un tempo, e non solo per tutelare l'integrità del mio setto nasale. Ho ricominciato a meditare e, soprattutto, a isolarmi per evitare il più possibile i fattori scatenanti. Tornata un po' d'ansia e qualche seppur raro attacco di panico, ma ce la stavo facendo... fino a ieri.

Ero sul balcone, stavo coccolando le piante in vaso, ci parlavo e tagliavo i rami secchi. Mi sono sentita salutare da una tizia che abita in un palazzo accanto e dalla quale sono separata solo da una sorta di terrazza asfaltata, punto d'ingresso dei miei gatti vagabondi e di alcuni scoiattoli. La signora è elurofobica, soprattutto quando si tratta di gatti neri (o dei miei gatti in generale, e del cane che le pare troppo aggressivo e degli uccellini a cui do da mangiare); in realtà, per quel poco che la conosco, non sopporta qualsiasi essere vivente non sia umano, e pure con questi ultimi ha qualche problemuccio.


Voltandomi, ho notato che ha nuovamente sistemato delle esche per topi accanto al mio balcone, e mi è salita una piccola carogna che ho tentato di scacciare subito. Poi ha esordito con "volevo solo avvisarti di stare attenta con i gatti perché ho messo di nuovo il veleno per i topi".
Le ho fatto notare che la scorsa volta ha sterminato tutta la fauna del quartiere (scoiattoli, merli, piccioni, un gabbiano...), ovviamente venuti a morire da me, con relativo magone. Ho continuato informandola che quelle esche producono morte molto dolorosa e sono ormai vietate per legge, che sono passibili di denuncia e che comunque io non le voglio. 

Mi ha guardata con i suoi occhietti stolidi e un po' porcini, affermando con stizza che i topi arrivano da me, dal balcone, dal tetto, dal cortile: ho un allevamento di topi, secondo la sua stima. "Ho tre gatte, tutte femmine e quindi cacciatrici, i topi stanno ben lontani da casa mia"... e lei: "questo lo dici tu".
"E' una legge di natura! I gatti cacciano i topi... non c'è bisogno di avere una laurea in zoologia per saperlo, basta guardare i cartoni animati di Tom e Jerry o Gatto Silvestro, ci arriva pure un bambino un po' scemo".

Lei si ostinava a non cogliere, a mantenere una calma ottusa (almeno secondo i miei opinabili parametri) che non le appartiene, lo so: "se agli animali ci tieni è affare tuo, ma i topi fanno schifo, sono zozzi, sono bestie che è diverso...". Pulsazioni da attacco parossistico di tachicardia, vampata di calore, sibilo nelle orecchie, e la pentola a pressione è esplosa (la valvola è difettosa, mi sa). Vabbè, c'è anche che ho dimenticato di dire che avevo adottato un ratto nero bellissimo, simpatico, peculiarmente intelligente (Philippe) che ho vegliato durante la sua lunga agonia, piangendo anche un po'. 

Una raffica di insulti, ben articolati, quasi eleganti pur nella loro trivialità, mi è scappata con andamento erratico: non c'era modo di acchiapparne uno prima che uscisse. Tutto fuori misura, un'intensità di rabbia eccessiva rispetto al problema. Sono ormai molte le "esche" che innescano la rabbia.
La tizia, che di solito ha un atteggiamento prepotente ha salutato ed è rientrata in casa. Cosa che ho fatto anche io, ma una volta dentro ho continuato a inveire contro l'aria, ripetendo più volte "manco se sto in casa mi lasciano in pace, cazzo!".

Ho preso uno Xanax, ho messo su un po' di musica, mi sono fatta un bagno caldo, eppure ci sono volute ore per smaltire la rabbia. 
Ora sto pensando che il viaggio di ritorno alla normalità, alla mia calma che a volte innervosiva gli altri (ma, a questo punto, è un problema loro), sarà più lungo e tortuoso di quanto immaginassi. Ma va fatto, sicuramente lavorando sugli eventi scatenanti e, spiace dirlo, ricominciando a porre scarsissima attenzione a ciò che gente dice o fa (è un peccato, si perdono pensieri interessanti, ma piano piano si arriva a operare una cernita, una salutare selezione di cosa è importante e cosa non lo è). Tocca iniziare a non guardare indietro con rabbia.




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